Buona domenica a tutte e a tutti, mie care lettrici e miei cari lettori.
Ridendo e scherzando, scrivendo e leggendo, siamo arrivati all'ultimo capitolo di quello che fu il mio primo romanzo fantasy, edito da Midgard Editrice, "Bran il paladino: attacco al Tempio".
Un libro che, riletto per postarlo a puntate su questo blog, mi ha fatto gustare sapori antichi e genuini e che non credevo più potessero esistere ma che, in realtà, avevo solo dimenticato satollo dell'amaro distillato che la vita di tutti i giorni ci fa ingoiare coprendo i dolci aromi di ciò che di davvero buono c'è.
E' stato per me un viaggio nel passato ed un ritorno alle origini che mi ha fatto riscoprire l'amore per il fantasy e mi ha ricordato perché io voglia condividerlo con gli altri, con tutti voi che spero possiate accoglierlo come si accoglie un amico gradito, vecchio o nuovo che sia.
Proprio per questo, è non senza una buona dose di malinconia, di quella alla quale ci si vuole per un pò lasciar andare perché infondo nutre l'anima di bei ricordi e rinfranca lo spirito con brividi di piacere, che mi appresto a rendervi partecipi di quest'ultimo capitolo.
Il magico sigillo imposto sul Tempio dei Paladino da Petrus, Sommo Chierico del Regno, al fine di confinare in quel luogo il male che ivi si è risvegliato e che, con sorprendente rapidità si sta moltiplicando, è destinato ad infrangersi. Neppure la sua più potente e pura magia divina è in grado di proteggere la città di Ororia da ciò che dal suo ventre è scaturito: il potere di Hanubi, la Nera Gemella di Orus, cresce incontrastato ed incontrastabile poiché, contro un'essenza divina, nessun umano o elfo o nano o gnomo o altra creatura appartenente alle specie mortali può nulla.
Eppure, umani e nani ed elfi e gnomi si sono radunati sotto un unico vessillo, quello del Regno, ed hanno marciato fino ad Ororia per dare man forte ai Chierici ed ai Paladini nel combattere ciò che nemmeno nei loro peggiori incubi ha mai preso vita.
Le asce dei nani, le spade degli umani e la magia di elfi e gnomi sono armi potenti che faranno scorrere sangue demoniaco a fiumi, eppure molti baluardi sono destinati a cadere e molti coraggiosi combattenti, soldati ed ufficiali indistintamente, dovranno arrendersi all'ineluttabile fato che vedrà la fine dei loro giorni.
Un giorno nuovo, ad ogni conto, succederà alla notte ma se il sole splenderà o meno ancora una volta non sarà dato sapere a chi nell'attacco al Tempio ha dato la propria vita: tutto è nelle mani di un giovane Paladino e di una giovane Chierica che, ora o mai più, dovranno saper rifulgere come scintille nel buio.
Disegno di Gigliana Piccolin |
Tempo di lettura: 15 minuti
12 – SCINTILLE NEL BUIO
Ci vollero un paio di giorni
prima che tutti e dodici i paladini potessero rimettersi in piedi.
Solo il giovane Bran Llyr e il
Sommo Petrus potevano dirsi ristabiliti dopo la cruenta battaglia presso il Tempio dei Paladini di Ororia.
Il saggio Sommo Chierico adempì
con la consueta solerzia ai suoi doveri mettendosi all’opera per preparare
Ororia all’imminente scontro con le forze del male: per prima cosa inviò
messaggeri in tutto il Sacro Regno per chiedere aiuto agli alleati; in secondo
luogo fece evacuare la popolazione in modo ordinato, dando ad ognuno una
dichiarazione scritta di proprio pugno che attestava la condizione di rifugiato
e che li autorizzava a chiedere ospitalità presso una qualsiasi delle chiese o
dei templi di Orus sparsi nel Regno.
Solo una settimana dopo la
battaglia presso il Tempio di Ororia, Petrus poté convocare un’assemblea cui
presero parte Damien, Thoris, Bran Llyr e la bella e potente Nemrak.
Concluse le dovute formalità di
rito, il Sommo Petrus iniziò a trattare dell’argomento iscritto all’ordine del
giorno di quel ristrettissimo consiglio.
<<Già
una settimana è passata da quando, grazie al potere concessomi da Orus, ho
eretto il sigillo che contiene il male che minaccia la nostra città ed il
nostro Sacro Regno>> proferì il mezzelfo dagli occhi lattiginosi,
fissando il proprio penetrante sguardo su quello di ognuno dei presenti seduti
attorno al rotondo tavolo della Sala Consiliare. <<Altri tre giorni, al
massimo quattro, ci sono concessi per prepararci alla battaglia decisiva
dopodiché il sigillo sarà spezzato dalla forza crescente del nemico.>>
<<La
sua nera potenza si accresce di ora in ora>> confermò Nemrak, lisciandosi
le vellutate vesti d’argento. <<Lo sento nell’aria, nell’acqua e nella
terra ed in ogni parte del creato>> concluse, fissando con i suoi occhi
azzurro verdi ognuno dei presenti.
<<È
giusto che sappiate la verità, tutta e solo la verità>> annunciò improvvisamente
Damien, alzatosi in piedi, dopo aver lanciato una significativa occhiata a
Thoris. <<Quello di cui vi sto per mettere al corrente>> continuò
fissando il giovane Bran Llyr negli occhi cerulei <<è il più sacro dei
segreti custoditi dalla nostra Gilda>> annunciò. <<Quello che
vedete splendere al mio collo, e che fino a ieri riluceva sul petto di Thoris,
è l’Amuleto dell’Apocalisse, forgiato nei tempi antichi dal fabbro degli Dei
fondendo insieme il Sole Splendente, simbolo di Orus, e Luna Nera, simbolo di
Hanubi.>>
Alla notizia, lo stesso Petrus
non poté trattenere un’espressione di preoccupato stupore chiedendosi se fosse
desto o nel mezzo di un incubo.
<<Il
nemico che il destino ci ha chiamati a fronteggiare altri non è che la gemella
malvagia di Orus, Dea dell’Abisso e Padrona dei morti. L’obiettivo dell’attacco
perpetrato al Tempio ero io, o meglio l’amuleto che ho il dovere di custodire a
costo della mia stessa vita. Se esso cadesse nella mani di Hanubi l’Abisso si
spalancherebbe sotto i nostri piedi e quelli di ogni essere su questo mondo>>
Damien fece una lunga pausa, nessuno osò proferire verbo, così il Gran Maestro
continuò. <<Gli Dei sarebbero costretti a scendere in guerra tra loro per
l’Ultima Battaglia le cui sorti, ancora, sono sconosciute allo stesso Cardir,
il Creatore. Una divinità che possedesse questo leggendario artefatto che
riunisce in sé il potere delle tenebre a quello della luce otterrebbe un
potenza smisurata, una potenza che nessun Dio da solo potrebbe
contrastare.>>
<<Ora
le nebbie si diradano dinnanzi ai miei occhi>> intervenne Petrus,
incapace di controllare il leggero tremore che, dalle mani, si stava
diffondendo a tutto il corpo.
Nemrak, dal canto suo, non
proferì parola, incapace ancora di articolare un pensiero degno di essere
espresso.
La gravità della situazione,
inoltre, colpì Bran come un pugno allo stomaco: tale era il tremendo fardello
che gravava su Damien, pensò atterrito.
<<La
situazione, allora, è ben più grave di ogni mia più nera aspettativa>>
commentò il mezzelfo cercando di riprendersi. <<Le soluzioni dovranno
risultare decisive, non possiamo permettere al male di perseverare attraverso
l’Amuleto dell’Apocalisse che, a mio avviso, dovrà essere messo al sicuro in un
luogo quanto più inaccessibile.>>
<<Sono
assolutamente d’accordo>> annuì la giovane Nemrak dopo aver riacquistato
il controllo di se stessa.
<<Purtroppo,
ciò non è possibile>> obiettò Thoris. <<Se l’amuleto non fosse
indossato da un nobile e devoto Paladino, il suo lato oscuro costituirebbe un
richiamo per la peggior specie di creatura malvagia, potendo così cadere nelle
mani sbagliate>> concluse stringendo i pugni.
<<L’amuleto
è stato affidato alla nostra Gilda fin dai tempi antichi ed è passato, di
generazione in generazione, nelle mani dei più virtuosi tra i paladini, i Gran Maestri.
Questa è una catena che non dovrà mai essere spezzata>> sentenziò poi il
Bianco Damien con voce ferma e decisa.
<<Così
sia>> concesse il Sommo Petrus in un sospiro.
L’assemblea si protrasse per
lunghe ore durante le quali il Sommo Chierico, il GranMaestro dei Paladini e
gli altri lì presenti misero appunto tutti i particolari di quella che sarebbe
passata alla storia come la battaglia più importante della Seconda Era.
f
Nei due giorni successivi, da
ogni dove del Sacro Regno arrivarono gli aiuti sperati: i fieri nani barbari,
guidati dal Gran Capo Kron, discesero numerosi dalle impervie Alpi del freddo
nord impugnando orgogliosamente le loro pesanti asce da battaglia; così come
numerosi furono i maghi dalle ampie vesti fruscianti, guidati dall’Arcimago
Tynd, provenienti dall’Accademia di Gyl; nelle loro leggere armature di cuoio,
fecero ingresso alla Torre del Conclave gli infallibili arcieri elfici del
nobile Revia di Bosco Armonioso; infine, dalle soleggiate coste del Mar
Tyrrheno, giunsero i disciplinati ed impavidi guerrieri del Re, capeggiati dal
fiero Maresciallo Alef, armati di scudo, armatura di piastre e spada lunga.
Niente parate né cortei, niente
sfilata trionfale per i guerrieri del Re; Alef, nella sua splendida armatura
orlata d’argento, montava un possente cavallo bianco anch’esso bardato per la
battaglia.
Ciononostante, l’ingresso degli
alleati fu ugualmente trionfale poiché sincera benevolenza fu generosamente
dimostrata da chi, nonostante tutto, era rimasto in città.
Il Sommo Petrus ed il Bianco
Damien ricevettero tutti con grandi onori e parole di elogio: il Sacro Regno
tutto era stato capace di unirsi a fronteggiare l’oscurità strisciante ed il
destino era nelle loro mani; tutti ne erano consapevoli.
Dopo un’abbondante cena a base di
zuppa di cereali, carne arrostita con verdure e patate croccanti, pane, noci e
frutta fresca, vi fu un momento mondano di musica e chiacchiere in cui i
presenti si scambiarono notizie sui fatti del Regno e del mondo.
<<Le
tribù al di là delle Alpi>> fece Kron parlando con Bran <<spingono
per riversarsi nei nostri territori, in cerca di villaggi da saccheggiare e
donne con cui giacere>> lo informò.
<<Pensavo
che i Trattati Reali avessero sancito una tregua, se non una vera e propria pace>>
ribatté il giovane paladino sorseggiando un pò di birra.
<<Mio
giovane Bran>> gli rispose il Gran Capo dei barbari, scoppiando in una
grassa risata <<non è certo merito di alcuni fogli di pergamena macchiati
d’inchiostro se le tribù se ne stanno al di là dei nostri confini>>
continuò trangugiando, tutto d’un fiato, un intero boccale. <<Birra!
Birra!>> gridò poi rivolgendosi ad una delle molte cameriere, alzando in
alto il boccale vuoto, accompagnando la richiesta con un rumoroso rutto.
<<Ciò che li convince a starsene a casa propria è la possanza delle
nostre fortezze tra le montagne ed il filo tagliente delle nostre asce.>>
<<Non
dare retta ad un burbero ubriacone>> si intromise Alef, Maresciallo dei
guerrieri del Re, un uomo alto e slanciato, dal fare gentile e dall’aria
sincera. <<Senza quei trattati si scatenerebbe una vera e propria guerra
su vasta scala>> continuò, battendo la callosa mano sulla spalla di Kron.
<<Tutto
qui?>> gli chiese il Nano asciugandosi la barba con il dorso della mano.
<<Mi sembri al quanto rammollito, mio buon Alef>> lo stuzzicò il
barbaro. <<Un Nano in fasce ci avrebbe messo più forza… Non l’ho nemmeno sentita!>>
scherzò bonariamente riferendosi alla pacca sulla spalla.
<<Non
ti hanno mai detto di evitare di fare a botte con gli ubriachi?>> gli
chiese l’altro lisciandosi i lunghi baffi biondi.
<<Anche
se mai me l’avessero detto, non ho mai seguito un consiglio tanto stupido… Thor
mi fulmini se mi sono mai tirato indietro una sola volta!>>
<<Non
cambi davvero mai>> rise Alef, trascinando nella risata anche il giovane
Bran.
Seduti ad un tavolo dall’altra
parte del grande Salone delle Feste, Thoris e Damien erano intenti ad ascoltare
il resoconto del nobile Revia sui difficili rapporti che intercorrevano tra gli
Elfi di Bosco Armonioso e gli Umani dei villaggi vicini, desiderosi di
espandere il centro abitato e le zone artigianali ed industriali a loro
scapito.
<<Più
di una volta siamo arrivati a sfiorare lo scontro>> gli confessò il
nobile Elfo dalla fluente capigliatura biondo platino.
<<Re
Julius che ne pensa?>> gli chiese Damien passandosi una mano sulla barba
incolta.
<<Pensa
che dovremo trovare una accordo, un compromesso.>>
<<Mi
sembra abbastanza giusto>> intervenne Thoris.
<<Per
molte ragioni>> gli rispose Revia aguzzando gli splendidi occhi verdi
nascosti dietro un’intricata maschera di foglie d’edera <<mi sento di
dissentire: prima di tutto, le zone boschive sono indispensabili al
mantenimento dell’equilibrio naturale; uno scompenso a favore delle aree
produttive porterebbe ad un concatenarsi di eventi negativi quali
l’inaridimento del terreno e l’inquinamento delle acque con conseguente calo
della produzione agricola. Senza contare il calo degli animali
selvatici…>>
<<E
senza acqua, cibo, legna e pelli la vita non potrebbe prosperare>>
dedusse Damien.
<<Esattamente>>
gli fece eco l’elfo.
<<La
bramosia di benessere materiale e di ricchezza è un problema con il quale
dobbiamo confrontarci anche noi, oggigiorno>> lo informò Thoris.
<<Con l’epidemia che affligge Ororia, c’è solo da sperare che non si
inneschi una lotta di classe tra poveri diavoli affamati e ricchi spocchiosi
gelosi delle loro proprietà… Che Orus ce la mandi buona>> si augurò.
La bella Nemrak, poco più in là,
assieme al suo Maestro, il Mezzelfo Petrus, stava intrattenendo una
conversazione con alcuni abbottonatissimi maghi.
<<Lei
che ne pensa, Pia Nemrak?>> le chiese un elegante gnomo dallo sguardo
acuto e penetrante.
<<Vogliate
perdonarmi>> si scusò la chierica, distratta, non avendo ascoltato una
sola parola di quelle che l’altro le aveva rivolto.
Sfoggiando un sorriso di
circostanza, si defilò.
Appostatasi in un angolo, piantò
gli occhi su Bran verso il quale sentiva una strana affinità, ancor più
inspiegabile visto che non poteva dire di conoscerlo se non per esser stati,
per un giorno, compagni di ventura. Allorquando il giovane paladino fu solo, la
bella chierica, presi da un tavolo lì vicino un paio di calici di vino, trovò
il coraggio di farsi avanti.
<<Disturbo?>> iniziò, offrendogli uno
dei due calici.
<<No,
niente affatto>> gli rispose il biondo paladino. <<Stavo solo
cercando un posto dove trascorrere in tranquillità quella che può rivelarsi la
mia ultima serata su questo mondo.>>
<<Allora,
immagino che non vorrai essere disturbato>> dedusse Nemrak abbassando lo
sguardo a terra, imbarazzata.
<<Passare
queste ore assieme sarà per me un vero onore, oltre che un immenso
piacere>> sorrise l’altro con galanteria.
<<Allora,
sempre che tu sia d’accordo, potremo ritirarci in un angolo tranquillo dove
questo chiacchiericcio non possa disturbarci>> gli propose lei
offrendogli il braccio.
Lasciati la sala dove si stava
svolgendo il ricevimento, Nemrak guidò il giovane paladino tra i corridoi e le
stanze vuote della Torre del Conclave. Nel giro di una decina di minuti, dopo
esser saliti diverse rampe di scale, si trovarono dinnanzi ad un porticato
sotto il quale, fischiando, spirava un freddo vento invernale.
<<Di
qua>> fece lei indicando a Bran il terrazzo che si apriva dinnanzi.
Passato il porticato, gli occhi
del biondo paladino si posarono su uno dei più bei spettacoli che avessero mai
avuto l’occasione di ammirare.
<<Da
quassù la vista si estende al di là dei Sette Colli per dominare tutta la
pianura antistante.>>
<<È
uno spettacolo magnifico!>> gli rispose Bran estasiato da quella scura
distesa qua e là punteggiata di brillanti macchie rosse, arancioni e gialle.
<<I paesi ai piedi delle colline sembrano così piccoli da far pensare che
nessuno possa abitarci e viverci>> asserì, perdendosi con lo sguardo in
quel mare multicolore.
<<Nelle
giornate in cui il cielo è più terso è possibile osservare le città costiere
arroccate in riva al Mare Nostrum. Di notte, con la luna piena, si rimane
ammaliati dai pallidi riflessi prodotti dalle onde che, come tanti piccoli
abbagli, vengono catturati in un ritmico andirivieni.>>
<<Un
posto dove poter far volare il pensiero, dove poter riflettere su se stessi e
sugli altri, in pace, abbracciati dalla vastità della creazione e dal suo
perfetto equilibrio…>> rifletté, con una punta di dolce malinconia, Bran Llyr.
<<Mi
capita sovente di ritirarmi in questo luogo di solitaria comunione con il
Bianco Signore. Qui lo sento più vicino, qui mi è più facile vedere la mia
vita, gli eventi del mondo e delle genti sotto la luce della Sua parola
salvifica; ed è qui che prego perché ogni giorno della mia vita sia speso per
la Sua maggiore gloria>> gli confidò la chierica.
<<Quando
ho scelto di diventare Paladino, all’età di diciotto anni>> cominciò Bran
<<pensavo di poter cambiare il mondo con la sola forza di volontà, con il
solo impegno del mio braccio al servizio del Bianco Signore… Quanto mi
sbagliavo! La strada del Paladino, come quella del Chierico immagino, è una
strada irta di insormontabili difficoltà, di compromessi, di vittorie ma anche
di sconfitte…>> confessò, lieto di poter aprire il suo cuore a qualcuno
in un momento tanto difficile.
<<E
non sempre il gioco sembra valer la candela>> continuò Nemrak,
sorridendo. <<Alle volte ci si domanda il senso di quello che
facciamo>> continuò <<e ci si chiede perché il mondo sembri girare
per il verso sbagliato nonostante tutta la nostra abnegazione, tutte le nostre
preghiere ed i nostri sacrifici.>>
<<Penso>>
le rispose il giovane dagli occhi cerulei <<che tutto questo abbia un
senso, altrimenti Orus non permetterebbe che accada…>>
<<Ma
non riesci a capire quale, vero?>> fece lei, sentendosi vicina a quel
paladino incontrato solo per la seconda volta ma che sentiva di conoscere da
sempre. <<Avresti potuto
scegliere una via diversa?>> gli chiese poi, respirando a pieni polmoni
quell’aria fresca e dolce mentre il vento le scompigliava i lisci capelli
corvini.
<<Beh,
niente e nessuno mi ha obbligato a percorrerla… Niente tranne il mio
cuore>> le spiegò il biondo paladino. <<Avrei potuto, ancora prima
della mia nomina, scegliere di entrare in qualche bottega per imparare un
mestiere, o lavorare al Tempio; scegliere di trovare moglie, fare dei figli e vivere
tranquillamente ad Ororia o magari in campagna.>>
<<Cosa
te l’ha impedito?>>
<<Sentivo
nel profondo del mio cuore che quella non era la mia strada… Da un lato avrei
voluto che lo fosse, nel senso che una parte di me anelava ad un tal genere di
vita semplice e modesta ma, d’altro canto, sentivo che se avessi lasciato la
strada del paladino sarei morto un poco giorno per giorno.>>
<<Penso
che sia stato il Bianco Signore in persona ad instillarti la sua scintilla nel
cuore>> gli rispose la fanciulla stringendosi nell’argenteo mantello.
<<Io ho ricevuto la sua chiamata in età più avanzata rispetto a te; sono stata
ordinata Chierica solo due anni orsono ma da allora il Sommo Petrus mi ha
accettata come sua allieva prediletta.>>
<<Strano>>
commentò Bran sorseggiando il vino. <<Da quel poco che conosco del vostro
ordine l’allievo prediletto è di solito un chierico di lungo corso.>>
<<In
genere sì>> confermò la ragazza scostandosi i lunghi capelli corvini
scarmigliati dal vento. <<Nel mio caso è stata fatta un’eccezione alla
tradizione. Quando chiesi al Sommo Petrus il perché di una tale sua scelta mi
rispose che nemmeno a lui era chiaro il motivo, solo che, mi spiegò, vedeva in
me un’insolita luce interiore. In me vedeva la potenza di Orus fatta donna, la
sua scintilla allo stato più puro.>>
<<Beh,
c’è di che andar fieri>> gli sorrise Bran mettendo in mostra i bianchi
denti regolari.
<<Io
non mi sono mai sentita tanto speciale, anzi, penso di essere l’ultima persona
al mondo a meritare tanti privilegi e complimenti… La mia storia non è quella
di una ragazza di buona famiglia, non è quella di una ragazza che è riuscita in
tutto ciò che si prefiggeva, anzi…>>
Prepotenti, i ricordi si fecero
strada nella testa della bella Nemrak, ricordi dolorosi, sgraditi, che pensava
di aver sotterrato nei recessi della sua memoria.
<<No!>>
gridava lei con le lacrime che le offuscavano la vista. <<Lasciala
stare!>> urlò, mentre la guancia sembrava esploderle dal dolore causato
dal terribile ceffone datole dal padre, ancora una volta ubriaco.
Le braccia di sua madre, magre,
ma per lei accoglienti come un nido, consumate, ma per lei confortanti, la
strinsero al petto; ma le mani di lui, di quel padre che aveva imparato a
disprezzare, la strapparono dal calore dell’abbraccio materno trascinandola, a
suon di cinghiate, in camera sua. La chiave, dentro la toppa, girò, chiudendola
dentro; non proteggendola, però, dalle urla e dai terribili suoni che
provenivano dalla stanza a fianco.
<<Dove
credi di scappare?>> tuonò suo padre all’indirizzo della moglie con voce
perversamente divertita. <<Vorresti sottrarti ai tuoi doveri? Cagna!>>
“Cagna”, pensò la piccola Nemrak,
“cagna” perché aveva trovato il coraggio di scappare da una casa in cui era
trattata peggio di una serva, da una casa in cui era costretta a lavorare solo
per ricevere sputi ed insulti, cinghiate e ceffoni. Come, non lo sapeva,
quell’uomo che entrambe odiavano e temevano allo stesso tempo era riuscito a
trovarle.
<<No!>>
grido ancora sua madre; poi un tonfo, il rumore di molle cigolanti e un secco
rumore di vesti lacerate.
<<Non
ti muovere, puttana!>>
<<Che
tu sia dannato!>> lo maledisse la donna piangendo ed ottenendo in cambio
altre cinghiate che Nemrak, dalla sua stanza, accusò come se fossero state
inferte sulla sua pelle.
<<Che
tu sia maledetta!>> le rispose il violentatore. <<E che sia dannata
anche quella disgraziata che hai partorito!>>
Quelle dure parole fecero
scattare in lei una rabbia da anni repressa, un incontrollabile istinto di
difesa e sopravvivenza.
Asciugatasi le lacrime, uscì
furtivamente dalla finestra calandosi adagio giù per l’albero sotto al quale
era stata costruita quella che, sperava, sarebbe stata la sua nuova casa.
Aperta la porta, facendo attenzione a non fare rumore, entrò nella cucina e
preso l’attizzatoio per il caminetto si diresse, come dentro un incubo, verso
la camera da letto in cui dormiva sua madre e dove, ora, si stava consumando
una inaccettabile atrocità.
Raccolto tutto il suo coraggio,
cacciando un terribile urlo, fece irruzione nella stanza da letto mirando a suo
padre, a quell’odiato padre che, senza avere il tempo di rendersene conto, si
trovò l’attizzatoio infilato nella schiena, tra le scapole.
Un fiotto di sangue la investì,
caldo, bruciante.
Voltatasi di scatto, Nemrak uscì
da casa di corsa decisa a lasciarsi alle spalle tutto quanto era successo.
Sua madre, ancora seminuda, cercò
invano di rincorrerla ma la bambina era troppo veloce per le sue stanche membra
consumate così, stremata, svenne.
Vergognandosi di ciò che aveva
fatto, pensando che di una bambina tanto cattiva la madre non avrebbe saputo
che farsene e sentendosi in colpa per aver ucciso il padre, disperata al
pensiero di aver perso l’amore della madre, Nemrak, per riuscire a
sopravvivere, si diede ai piccoli furti ed ai raggiri finché, un giorno, non fu
colta con le mani in sacco da un paio di guardie. Arrestata, fu portata in
prigione presso la Torre del Conclave di Ororia, la città in cui, sia lei che
sua madre, avevano riposto il sogno di una nuova vita.
Vedendo nei splendidi occhi
azzurro verdi della bella chierica un liquido brillio, Bran prese la parola.
<<Ti
sottovaluti, e molto. Ho notato in te molte qualità come la modestia, il
carattere, la capacità di prendere decisioni con ponderatezza e saggezza; senza
contare che ho potuto provare in prima persona la potenza dei tuoi incantesimi
e la purezza della tua energia divina>> la rincuorò, guardandola dritta
negli occhi. <<Quando mi hai curato, nei sotterranei di Casa Malstorm, ho
provato una sensazione che va al di là dell’incantesimo curativo, ho sentito un
brivido caldo impossessarsi di ogni singola fibra del mio corpo e diffondersi
nel mio cuore abbattuto per scaldarlo di una fiducia incondizionata, quella
fiducia che tu riponevi in me e nel destino che mi era stato affidato dallo
steso Orus… Ciò la dice lunga anche sulla profondità della tua devozione. Penso
che, nonostante quello che pensi di te stessa, il Sommo Petrus, nella sua
grande saggezza, abbia colto un prezioso fiore dal giardino del mondo.>>
Dopo quella frase, che al riservato
Bran costò molto pronunciare e che colpì la bella Nemrak con un tuffo al cuore,
i due stettero in silenzio per quasi un’ora ognuno immerso nei propri pensieri,
nelle proprie emozioni, dinnanzi alla sconcertante vastità di una vista
mozzafiato. Un silenzio, però, mai pesante, mai imbarazzante, un silenzio,
anzi, che sembrò avvicinarli ed avvinghiarli in un intimo legame
indissolubile.
Stettero così finché, chiaro e
squillante, udirono il suono della tromba che segnava la conclusione del
ricevimento. Fatta la strada al contrario, scesi fino al grande Salone delle
Feste, Bran e Nemrak giunsero giusti in tempo per i commiati.
I presenzianti, infatti, sebbene
la serata fosse trascorsa piacevolmente e tutti si fossero sentiti a proprio
agio nonostante l’impalpabile velo di tensione che aleggiava nell’aria, si
salutarono cordialmente non appena la luna ebbe percorso poco più della metà
del suo cammino nel cielo per dirigersi, poi, alle proprie stanze dove
avrebbero potuto riposare o starsene semplicemente in raccoglimento… Ma il
nemico, al contrario, proprio allora si mise all’opera poiché quello era un
male che non dormiva mai: nelle orecchie di ogni Mago, Chierico, Paladino o
uomo d’armi risuonarono strani lamenti, sinistri sussurri e rantoli
angoscianti… La paura era la prima arma di Hanubi, la Nera Gemella.
f
Dopo una nottata che a tutti
sembrò lunga una vita, il mattino si levò pallido ed uggioso sul campo di
battaglia.
Il sigillo, ormai ridotto ad una
sottile membrana appena fluorescente, avrebbe ceduto di lì a qualche minuto.
Al di là della barriera era
concentrato un male antico e potente, furioso e senza pietà, un male che era
incarnato in tutto il suo nero orrore nei mostri di ogni sorta che con unghie,
artigli, denti, tentacoli ed armi grattavano e dilaniavano il sigillo,
sgretolandolo letteralmente.
L’esercito del Sacro Regno,
capeggiato dal Sommo Petrus, era schierato ordinatamente, immobile e senza
timore della morte che li avrebbe visti cadere valorosamente per la maggior
gloria di Orus: in prima fila, comandati da Kron e dal Maresciallo Alef, si
trovavano barbari e guerrieri pronti a reggere al primo rabbioso assalto delle
schiere nemiche; alle loro spalle, posti su alti rialzi e con le frecce
incoccate, si trovavano i numerosi arcieri elfici; ai lati dello schieramento,
invece, i maghi dalle ampie vesti erano pronti a scatenare tutta la potenza
della loro arte così da permettere agli uomini d’arme di insinuarsi in
profondità tra le linee nemiche. Infine, dietro a tutti, venivano chierici e
paladini: una decina di maghi, al loro fianco, si stava prodigando per aprire
un portale che avrebbe catapultato il Sommo Petrus e Nemrak, il Bianco Damien,
Thoris, Bran Llyr ed il resto dei paladini e dei chierici all’interno del
Tempio laddove si annidava la terribile Hanubi.
Allo sgretolarsi del sigillo,
l’orda urlante di scheletri, goblin, zombi, demonietti e spettri e parassiti,
chimere dei più terribili incroci tra demoniaci animali, ragni giganti dalle
lunghe zampe affilate come coltelli, serpi smisurate e viverne dai mortali
denti avvelenati, si lanciò contro gli uomini d’arme del Regno. Non appena i
mostri mossero il primo passo furono bersagliati da una pioggia di frecce
incantate che, infallibili, si piantarono nelle loro teste, nei loro occhi e
nei loro ventri molli per esplodere subito dopo in una pioggia di nero sangue e
verde materia putrescente. Ad intervalli regolari, alle frecce si aggiungevano
i dardi magici dei maghi capeggiati da Tynd i quali, dando fondo alle loro
arcane conoscenze, evocarono terribili lingue di fuoco, tempeste di ghiaccio e
turbini di vento.
Così ostacolata, l’orda demoniaca
si infranse sulle lame dei guerrieri del Re che, sfoderando le spade rilucenti,
iniziarono a mettere a segno i primi affondi e fendenti spiccando teste ed
infilzando nera carne macilente. In seconda battuta, a dar man forte agli Umani
nelle loro armature complete, si fecero avanti i Nani che con la tipica furia
cieca propria dei barbari si buttarono a capofitto nella battaglia facendo
vorticare le loro asce a doppio filo che, tra urla e lamenti, adempirono
egregiamente il loro dovere.
Nel frattempo, tra le esplosioni
ed i botti, gli schianti e le grida, chierici e paladini presero la magica via
per il Tempio ritrovandosi, un istante dopo, catapultati in una realtà da
incubo: le bianche pareti del Tempio avevano assunto un colorito tra il grigio
ed il nero mentre le ragnatele avevano invaso ogni angolo ed ogni crepa che si
era aperta sull’intera struttura; le torce un tempo appese ad intervalli
regolari sui muri erano state scalzate da mostruose teste dagli occhi fiammeggianti
di nera oscurità tanto che fu necessario, per ogni chierico, lanciare un
incantesimo di luce. Incredibilmente, la via per la sala dove un tempo si ergeva
il Bianco Trono di Damien era sgombra.
<<Che
tutti i mostri siano impegnati in battaglia?>> chiese Bran, scrutando
l’oscurità mentre nelle sue giovani vene il sangue iniziava ad agitarsi ed
infiammarsi della scintilla divina.
<<Lei
sola costituisce già un nemico fin troppo formidabile>> commentò Thoris
estraendo dal fodero il lungo spadone a due mani.
<<Tra
non molto avremo compagnia, molta compagnia>> gli assicurò il Bianco
Damien lanciando uno sguardo preoccupato al medaglione che, sul suo petto,
pulsava sempre più intensamente.
All’esterno del Tempio la
battaglia infuriava cruenta: i mostri, che sembravano non finire mai,
iniziarono a mettere a dura prova la resistenza dell’esercito del Regno. Gli elfi,
entrati a contatto con le file nemiche, lasciarono gli archi per buttarsi nella
mischia sfoderando i loro pugnali gemelli dal filo leggermente ricurvo.
Dal fianco dello schieramento,
laddove erano concentrati i maghi, irruppe un urlante gigante di roccia che,
con un solo pugno, schiantò una decina di incantatori. Gli altri, accortisi
dell’imminente pericolo, diressero i loro ultimi incantesimi di più alto
livello contro quella furibonda creatura. In loro aiuto, dal centro dello
schieramento, si staccò un gruppo di una ventina di guerrieri, tra cui Alef,
che, distraendo il gigante, diedero il tempo ai maghi di recitare le loro
formule.
All’altro capo del campo di
battaglia, ormai arrivati ad un centinaio di metri dall’ingresso del Tempio, i
barbari guidati dal possente Kron entrarono in uno stato di furia omicida che
li portò a creare il vuoto attorno a loro: nell'attesa che il resto
dell’esercito, ormai a ranghi ridotti, li raggiungesse, tennero autorevolmente
la posizione.
Il gruppo di chierici e paladini,
nel frattempo, fu guidato da Damien, che conosceva quei posti a menadito, fino
alla sala in cui ora si ergeva il Nero Scranno di Hanubi. Dopo aver salmodiato
una serie di invocazioni difensive che ne aumentasse la resistenza fisica, la
forza e la resistenza agli incantesimi, chierici e paladini si prepararono allo
scontro.
<<State
indietro!>> ordinò loro Petrus sollevando le mani dinnanzi al viso: le
sue vesti si misero a fluttuare mentre le mani si facevano di fuoco; nel giro
di qualche istante si formò un globo di fiamme che il mezzelfo scagliò contro
il nero portone di ferro, facendolo saltare letteralmente in aria e liberando
l’orda dei servitori della malvagia divinità che aveva il covo in quella sala.
I primi ad attaccare furono i
paladini i quali, colti di sorpresa, si trovarono a dover affrontare i corpi
rianimati dei loro ex compagni.
<<Non
sono loro! Non sono loro!>> gridò Damien per aizzare il coraggio dei
suoi.
A Bran, però, scese una lacrima
di rabbia e compassione.
Thoris si gettò per primo nella
mischia in modo da proteggere Damien, il Portatore, il quale avrebbe dovuto
essere nel pieno delle forze per vedersela con Hanubi. Il suo spadone a due
mani si produsse in terribili fendenti che donarono la pace eterna all’anima di
quei paladini corrotti dal potere oscuro.
La battaglia infuriò, così, anche
dentro al Tempio: da un lato i chierici che tenevano a bada l’orda demoniaca
grazie alla potenza degli incantesimi loro conceduti da Orus, ed i paladini che
abbattevano il filo del loro spadone nel nome di ciò che di buono c’era al
mondo; dall’altro i servitori dell’oscuro nemico.
Solo a battaglia in corso, sul
Nero Scranno si materializzò come dal nulla Hanubi: certo la sua potenza non
era ancora al massimo, visto che le sue spoglie mortali apparivano non
completamente formate, ma il suo potere rimaneva comunque grandissimo.
Il corpo antropomorfo, dalla
pelle di un grigio scuro e completamente glabra, si alzò in piedi mostrandosi
in tutta la sua notevole altezza; gli arti contorti, flessuosi ed agili, si
distesero producendo una serie di sinistri scricchiolii. Le mani erano
artigliate, le fauci spalancate a mostrare le numerose fila di denti neri ed
aguzzi tra le quali saettava una lingua biforcuta. Il volto, unica parte
animale di quell’oscena incarnazione, era abbozzato a forma di testa canina;
infine, una lunga coda appuntita le sbucava da dietro frustando il pavimento.
Nell’istante in cui lo stridulo
grido della divinità si diffuse nella sala, la battaglia sembrò fermarsi ed il
tempo dilatarsi: i mostri trassero da quel suono assordante nuovo vigore mentre
chierici e paladini dovettero ricorrere a tutta la fermezza di cui il loro
animo era capace per non cadere in preda al terrore.
Nelle lunghe mani artigliate di
Hanubi, tra sbuffi di zolfo, si materializzò un enorme tridente dotato di punte
grandi quanto uno spadone.
La battaglia riprese cruenta e
sanguinosa ed alla mischia si unì anche la Padrona delle Anime Dannate: i colpi
portati dalla divinità risultarono irresistibili per chiunque poiché, anche se
non fossero riusciti a trapassare le difese del nemico, questi sarebbe stato
sbalzato a svariati metri di distanza, avvolto tra le fiamme.
A quel punto, forti dei loro
incantesimi difensivi più potenti, la triade formata da Petrus, Damien e Thoris
corse verso quella visione da incubo.
Alle loro spalle, Bran Llyr e la
bella Nemrak seguivano a poca distanza.
Il virtuoso Damien, dalla destra,
fu il primo ad attaccare la divinità lanciando un incantesimo il cui effetto fu
di rallentare, per un attimo, l’intercedere della Nera Gemella, fornendogli un
leggero vantaggio: il suo fendente, infatti, andò a segno. La malvagia
divinità, però, si riprese un istante dopo menando un colpo in affondo che, per
poco, non trafisse mortalmente il GranMaestro dei paladini, scagliandolo
comunque a terra. Subito dopo, il Sommo Petrus incalzò Hanubi scagliandogli
contro una pioggia di fuoco che la costrinse sulla difensiva mentre, nello
stesso istante, Thoris la tempestò di colpi con lo spadone.
Con un ruggito incredibile, la
bestia demoniaca si rimise in posizione eretta e, stendendo le braccia sopra la
testa canina, pose fine alla furiosa tempesta di fuoco lanciando
contemporaneamente un subdolo incantesimo che ebbe l’effetto di stordire per
qualche istante gli avversari. Approfittando di quel momento, Hanubi concentrò
le sue energie magiche, cosicché dal palmo della sua artigliata mano destra
saettò un fulmine che trapasso Petrus, squarciandone l’addome.
<<No!>>
fu l’urlo sgolato che, dalla bocca di Nemrak, si levò al di sopra di tutto.
Dopo aver lanciato un incantesimo per incenerire tutti i non morti attorno a
lei, la bella chierica corse verso il suo Maestro che, versando sangue ed
interiora, le cadde esanime tra le braccia.
<<Ora
che sto per abbracciare la pace di Orus posso vedere cose che erano, sono e
saranno>> le disse il mezzelfo in un sussurro.
<<Risparmi
le forze Maestro!>> le rispose la ragazza dai lunghi capelli corvini, con
gli occhi azzurro verdi resi ancora più scintillanti dalle lacrime.
<<L’amore,
la vita… Le uniche armi di cui avrete bisogno per far risplendere la scintilla
di Orus nell’oscuro periodo che attende il Sacro Regno>> concluse
rantolando.
<<Non
capisco Maestro!>> gridò Nemrak disperata, abbracciandolo con tutte le
sue forze mentre le argentee vesti si inzuppavano del cremisi del sangue
versato dal mezzelfo.
<<Capirai,
capirai, ti basterà ascoltare il canto del tuo cuore, mia prediletta>>
furono le ultime parole di Petrus, Sommo Chierico della Torre del Conclave di
Ororia.
Un istante dopo, Bran Llyr fu al
fianco della giovane chierica deviando con il suo spadone un colpo che
l’avrebbe colta tra le scapole. Con furia ceca, il biondo paladino si sbarazzò
dello zombi con un solo, poderoso fendente
<<Continua
a combattere, vendica la morte del tuo Maestro! È questo che avrebbe voluto e
che lo avrebbe reso fiero di te!>> furono le sue parole di conforto,
pronunciate poco prima di correre al fianco del Bianco Damien per dare man
forte contro quel male invincibile.
I tre paladini, dopo alcuni
minuti, si trovarono alle strette e con le spalle al muro; il potente Damien ed
il fidato Thoris si scambiarono uno sguardo d’intesa carico di significato.
Il paladino dagli occhi color
nocciola raccolse tutte le sue energie divine, imponendo la mano sul piatto del
suo spadone che, in concomitanza del medaglione di Orus, prese a risplendere di
un’accecante luce bianca; con quell’arma così intrisa della sua potenza, il
valoroso Thoris, onorato Maestro della Gilda dei Paladini di Ororia, portò il
suo ultimo assalto in un gesto talmente eroico ed epico da esser degno del più
bel poema del migliore tra i bardi.
<<Indossalo
tu>> fece Damien rivolto a Bran, sfilandosi l’Amuleto dell’Apocalisse.
<<Fuggi da questo luogo di tenebra invincibile e custodiscilo fino
all’avvento del Salvatore!>>
Bran lo prese in mano senza
nemmeno accorgersene, basito, incapace di comprendere quanto gli era stato
detto.
<<Mettilo
al collo!>> gli gridò l’autoritario paladino dai corti capelli color
dell’ebano.
<<Come
saprò che il tempo della profezia è venuto?>> gli chiese il giovane dagli
occhi azzurri, alzando la voce al di sopra del frastuono della battaglia.
<<Fa
che sia la scintilla di Orus a guidare i tuoi passi, questo ti basti mio caro
Bran… Ed ora fuggi!>>concluse l’altro.
Dinnanzi ai loro occhi, Thoris
stava affrontando Hanubi facendo fondo a tutto il suo coraggio, tutta la sua
forza e tutta la sua abilità. Il centro del salone era tutto per loro, tanta era
la foga dello scontro. Attorno ai due si era creato il vuoto.
La Nera Gemella, non ancora al
massimo delle sue forze, fendeva l’aria con i suoi temibili artigli ringhiando
ad ogni colpo andato a vuoto ed urlando ad ogni altro andato a segno, mentre
Thoris, tenendo lo spadone incanto alto dinnanzi a lui, riuscì a parare un buon
numero di colpi producendosi sovente in spettacolari contrattacchi facendo
roteare, con somma maestria, la sua arma per calarla con potenza e precisione
su Hanubi che riportò solo dei graffi grazie alla resistenza della sua nera
pelle dura come pietra… Per riuscire a ferirla seriamente, pensò Thoris,
avrebbe dovuto colpire in affondo al ventre o alla gola…
Dopo un paio di agili finte con
il tridente, per disorientare il Maestro della Gilda dei Paladini di Ororia, la
Regina dell’Abisso gli menò una poderosa zampata che, abbattendosi sul petto
del paladino, lo sbatté a terra senza fiato. Approfittando di quel momento, Hanubi
chiamò a se oscuri poteri e fece saettare dai suoi scuri occhi lampi cremisi.
Prendendo a forza una boccata
d’aria che, come il fuoco, gli fece bruciare i polmoni, il provato Thoris si
tirò in piedi stringendo in pugno il suo spadone: piantati i piedi a terra,
intercettò con la lama incantata la saetta che stava dirigendosi verso di lui.
L’impatto, per il paladino dai lunghi capelli castani fu terribile, tanto che
un incontrollabile quanto doloroso tremore gli si diffuse dalle braccia al
petto fin giù per la schiena.
Lanciato l’incantesimo, Hanubi
fletté i suoi contorti arti inferiori per scattare furiosa verso il paladino
che aveva osato contrastare il suo potere: gli artigli della nera divinità si
incrociarono con la lama dello spadone di Thoris producendo una cascata di
brillanti scintille che si sparsero sul pavimento di pietra, crepitando. Con un
ampio movimento ad arco, il coraggioso paladino liberò la sua arma da quella
posizione puntando direttamente all’addome del nemico: la lama disegnò un
cerchio lucente e poi una scia di bianca luce in affondo che sarebbe dovuta
penetrare nella carne della malvagia divinità, ricacciandola così, sottoforma
di puro spirito, nell’Abisso infernale… In un tempo che a Thoris sembrò un’ eternità,
ma che in realtà era una frazione di secondo, Hanubi si torse con un movimento
innaturale che le permise di far compiere al proprio busto un giro completo. La
lama compì la sua lucente corsa, riuscendo solo a disegnare un lungo striscio
sul fianco della Nera Gemella la quale, tornando con una velocità impressionante
a fronteggiare il paladino, contrattaccò piantandogli gli artigli acuminati tra
le costole, all’altezza del cuore che, trafitto inesorabilmente, si contrasse
per l’ultimo battito lasciando a Thoris il tempo appena sufficiente a capire di
esser stato ucciso.
Per il Maestro della Gilda di
Paladini di Ororia, il tempo parve fermarsi: il suo corpo stava là,
insanguinato e senza vita nel mortale abbraccio della malvagia divinità;
dinnanzi ai suoi occhi, però, si era aperta una porta di luce bianca che,
attirandolo senza lasciarli alcuna scelta se non quella di varcarla, lo
inghiottì un poco per volta. Sentendosi invadere da una sensazione di calore,
pace e tranquillità, il saggio Thoris si lasciò andare a quella luce… Fatto un
altro passo, si trovò a calcare con i propri stivali un bianco sentiero che,
serpeggiando placidamente tra un campo di profumati fiori variopinti, l’avrebbe
condotto tra le accoglienti braccia del Bianco Signore.
<<Maestro!
No!>> urlò Bran Llyr dopo aver volto lo sguardo alle sue spalle per
vedere l’espressione di trionfo aprirsi sul volto di Hanubi mentre, macchiati
del sangue di Thoris, i suoi artigli sbucavano dalla schiena del valoroso
paladino.
Senza rendersene conto, senza
poterlo impedire, il paladino dai lunghi capelli biondi si trovò a versare
tante lacrime quante mai avrebbe creduto di avere.
<<Un
giorno, spero per te il più lontano possibile, potrai riabbracciarlo>>
proferì il Bianco Damien, solenne e triste. <<Io sto per andarlo a
trovare>> concluse spintonandolo via di lì.
Dopo aver incantato la sua lama
allo stesso modo di Thoris, con lo stesso epico eroismo, Damien, GranMaestro
dei Paladini di Ororia, immolò la sua vita per la maggior gloria di Orus: il
sacrificio dei chierici che nella prima battaglia avevano tenuto la
retroguardia, al costo della loro vita, stava per essere ripagato.
Sconvolto, Bran Llyr, come in un
sogno, un brutto sogno, si diresse verso Nemrak e avendola presa sotto braccio
la trascinò fuori della battaglia.
<<È
il mio cuore che ora detta le mie azioni!>> le disse con le lacrime che
gli velavano la vista.
<<È
il Fato che ci guida>> gli rispose la Pia Chierica asciugandosi le
lacrime.
<<Penso
che entrambi siamo ispirati da Orus stesso>> concluse Bran guidandola
fuori del Tempio.
All’uscita, Bran e Nemrak
poterono ricongiungersi all’esercito reale.
Accortasi della fuga dei due,
Hanubi cacciò un urlo di sovraumana potenza che fece tremare il Tempio fin
nelle fondamenta… La Luna Nera se ne stava andando con quel giovane paladino,
pensò inferocita, lanciandosi all’inseguimento.
A sbarrargli la strada, con il
magico spadone rilucente, trovò un Damien deciso a battersi fino alla morte.
f
I Nani guidati da Kron, in un tal
stato di furia da riuscire a reggersi in piedi anche se gravemente feriti,
erano impegnati a tenere la testa di ponte con i guerrieri del Re che stavano
sopraggiungendo.
<<Dobbiamo
abbandonare la battaglia!>> furono le parole di Bran al Gran Capo dei Nani.
<<Il Sommo Petrus, il Bianco Damien ed il valoroso Thoris hanno
sacrificato le loro vite perché noi due potessimo portare in salvo
questo>> gli disse mostrandogli l’Amuleto dell’Apocalisse.
<<Sia
mai!>> gli rispose il Nano, invasato e rosso in faccia. <<Anche se
sarà un massacro venderemo cara la pelle!>> urlò, rigettandosi smanioso
nella mischia.
Stanchi e disperati, il biondo
Bran e la bella Nemrak riuscirono ad attraversare indenni il campo di battaglia
facendo affidamento sullo spadone di lui e sulla capacità di scacciare i non
morti di lei. Esausti, chiamarono il vecchio mago Tynd il quale, dopo aver
appreso della situazione in ogni suo particolare, fece sì che i due giovani
potessero allontanarsi da Ororia quel tanto che sarebbe bastato loro per
sottrarsi al massacro imminente.
<<Più
di così non mi è possibile fare>> gli spiegò il centenario elfo dal viso
segnato dalla fatica. <<Vi troverete appena fuori della porta sud di
Ororia. Da lì potrete continuare fino alla capitale del Regno così da riportare
la sconfitta a Re Julius di Kaesar>> concluse con voce lieve e
rassegnata.
<<È
più di quanto avremmo mai sperato>> gli rispose Nemrak trattenendo a
fatica lacrime brucianti.
Come dal nulla, davanti ai due si
aprì un piccolo portale, grande appena per infilarvisi: ancora una volta il
viaggio non fu piacevole ma fu comunque questione di pochi attimi.
Da un’altura a sud di Ororia, i
due ragazzi, con le lacrime agli occhi ed il cuore pesante più di un macigno,
osservarono il fumo levarsi da quella che, fino ad una settimana prima, era il
glorioso baluardo di Orus, la splendente città che li aveva visti nascere,
crescere e diventare ciò che erano: la loro vita non sarebbe mai più stata la
stessa, si resero conto, con malinconia ed amarezza.
Assieme alla bella Nemrak,
stringendo in pugno l’Amuleto dell’Apocalisse, Bran Llyr si incamminò verso
il suo destino.
Disegno di Michele Quartulli |
Finisce qui "Bran il paladino: attacco al Tempio", ma non finisce qui la magia del fantasy.
Eccoci ai consigli musicali, le canzoni che mi hanno ispirato e che spero possano potervi far vivere al meglio l'esperienza nel mondo fantasy di Bran il Paladino.
Cinque canzoni che possano richiamare alla mente scene di epiche battaglie, che possano far pensare ad estremi sacrifici perpetrati da uomini come ad oggi non ve ne sono o dei quali il mondo in cui viviamo non riporta le gesta; brani che, alla fine, possano lasciarvi un dolce senso di melanconia che vorrete conservare per qualche istante ancora prima di rimettervi a fare ciò che stavate facendo prima, che vogliate o dobbiate.
Stratovarius: "Anthem of the world" dall'album "Destiny" (1998)
Rhapsody: "Lamento eroico" dall'album "Power of the Dragonflame" (2002)
Gary Moore: "Over the hills and far away" dall'album "Wild Frontier" (1987)
Sonata Arctica: "Tallulah" dall'album "Silence" (2001)
Disturbed: "The sound of silence" dall'album "Immortalized" (2015)
Zaffo
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