Ciancio alle bande 😉 passiamo subito al sodo, al nocciolo della questione, all'intro immancabile di questo settimo capitolo del mio primo romanzo fantasy "Bran il paladino: attacco al Tempio".
Bran, Nemrak, Nin e Rurik stanno dando fondo a tutte le loro capacità e a tutti i loro poteri per scovare e sradicare il male che si annida nel cuore di Ororia, città consacrata al culto di Orus di cui Bran Llyr è fiero e potente, seppur giovane, paladino.
Dopo oscurità sacrilega e trappole, non morti, scheletri e fantasmi, Minotauri, Sfingi con i loro mortali indovinelli e Golem cosa dovranno ancora affrontare i nostri eroi?
Il destino di Bran, in questo capitolo, sembra legarsi ad un'antica profezia perduta; una sinistra profezia che sembra gettare sul futuro del paladino un oscuro auspicio.
Nonostante ciò, la resa dei conti è vicina e il nemico, quella fu signora Malstorm, non può più riparare altrove.
7 – ANTICA PROFEZIA PERDUTA
Il viaggio dentro il
portale fu corto ma non piacevole: Rurik, come gli altri tre suoi compagni di
ventura, si sentì risucchiare in un vortice la cui violenza minacciava ad ogni
istante di lacerargli il corpo, stirato e contorto in molte direzioni nello
stesso momento. Per fortuna, quell’orrenda sensazione durò soltanto una
manciata di secondi al termine dei quali, sbigottito, il nano si trovò carponi
su un freddo pavimento lastricato di antica pietra, solida e polverosa.
Alzati gli occhi, il
guerriero vide ergersi, ad una dozzina di metri da lui, un grande portone alla
guardia del quale, immobili, stavano due armature vuote.
Pochi istanti dopo, dal
portale alle sue spalle sbucarono Bran, Nemrak e poi Nin i quali, seppur
rischiando di incespicare, riuscirono a non cadere.
Conscio della sua
imbarazzante posizione, Rurik si affrettò a rimettersi in piedi, e per
sorvolare sull’accaduto indicò subito il portale che si trovava dinnanzi.
<<Suppongo che lì dentro si trovi la ragione della
nostra missione>> constatò puntando il tozzo dito dritto davanti al suo
naso.
<<Ne hai per caso fiutato la scia?>> gli chiese
il mezzelfo, mal celando volutamente il suo divertimento avendolo visto, poco
prima, carponi come un cane che odorasse una pista.
<<Per dare un assaggio al filo della mia lama ti
basterà solo continuare…>> gli rispose l’altro, irascibile ed
attaccabrighe.
<<Risparmiate il fiato per combattere>> li
interruppe Bran Llyr, serio in volto, spianando lo spadone dinnanzi a sé.
<<Quelle sono armature animate>> li informò. <<Ci
attaccheranno non appena saremo a portata, vale a dire tra qualche
passo.>>
<<Allora non facciamole aspettare!>> gli rispose
Rurik, irruento. <<Hanno già atteso troppo!>>
Desideroso di rifarsi, per
dimostrare al mezzelfo la sua superiore capacità marziale, il guerriero nanico
prese a correre verso i guardiani del portale.
<<Vediamo chi li butta giù per primo!>> gridò in
direzione di Nin il quale, raccogliendo la sfida, incoccò e corse dietro al suo
compagno.
L’oscurità che stava
dentro gli elmi delle armature vuote si illuminò di due lunghe fessure rosse
che, dopo aver lampeggiato un paio di volte, si puntarono sui due nemici che
gli correvano incontro. Tra scricchiolii e stridori, i due guardiani presero
repentinamente vita alzando gli scudi ed iniziando a far roteare il loro
mazzafrusto.
Rurik piombò sul nemico
con l’irruenza tipica dei guerrieri nanici, staccando all’armatura animata, con
un solo potente colpo, il braccio con il quale reggeva lo scudo.
Poco più in là, l’altra
armatura animata rimase inchiodata al suo posto: le frecce di Nin, infatti, la
trapassarono senza troppe difficoltà per andarsi poi a piantare sul legno del
portone.
Il nano, non contento,
sfruttò la forza impressa alla sua ascia per colpire subito una seconda volta,
solo che l’armatura magica calò rapidamente la palla chiodata in direzione
della spalla del suo nemico. Accortosi, il nano fece deviare la traiettoria della
sua lama così da intercettare il contrattacco: la catena del mazzafrusto si
attorcigliò attorno al manico dell’ascia da guerra di Rurik che, digrignando i
denti, abbassò la testa caricando il nemico come un ariete; le corna del suo
elmo si insinuarono a fondo nell’antica armatura qua e là arrugginita che,
sferragliando, si schiantò al suolo.
Nel frattempo, il ladro
scoccò altre due frecce dirette alle braccia della seconda armatura animata
che, così crocefissa, era incapacitata a muoversi. Lasciato l’arco, Nin si
gettò sul nemico sfoderando il lungo coltello ricurvo.
Recuperata velocemente la
sua ascia, Rurik roteò su se stesso, impattando con forza l’armatura che si
trovava al suo fianco, inchiodata dalle frecce di Nin.
Quando Nin affondò
l’attacco, il suo kukri andò a piantarsi su null’altro che il legno del
portone.
<<Ah, scusami mezzelfo! Pensavo che stessi ancora
prendendo la mira…>> si giustificò il nano, fingendo una candida
ingenuità.
<<Avrei voluto vedere se non fosse stata
inchiodata…>>
Nin, però, non ebbe il
tempo di terminare la frase poiché, profondo e sconquassante, un tremore fece
sobbalzare il lastricato sotto i piedi dei quattro avventurieri mentre,
altrettanto assordante, un rombo accompagnò il cigolante girare del portone sui
propri cardini.
Tirandosi dietro il nano,
Nin si allontanò in fretta.
Gli ampi battenti del
portone scricchiolarono muovendosi a fatica su cardini in disuso da lungo tempo
mentre, centimetro dopo centimetro, il portone si apriva lasciando entrare
nell’ampio salone disadorno le tenebre che, irrequiete, fremevano dall’altra
parte.
Un leggero velo di fumo
nerastro prese a strisciare, ad altezza delle caviglie, verso i quattro
avventurieri conquistando a palmo a palmo l’ambiente ora più che mai buio,
mentre lamenti ed urla ora profonde ora acute, ringhi e clangore d’acciaio
stridente su altro acciaio arrivavano alle orecchie dei compagni di ventura
penetrandogli nelle ossa e raggelandogli il sangue.
Per niente intimorito, a
differenza degli altri tre avventurieri, Bran prese a recitare un’invocazione
ad Orus affinché accordasse a lui ed ai suoi compagni coraggio, forza e
determinazione. Fu così che la bianca luce del dio discese, anche nel buio di
quelle segrete, disegnando attorno a Bran un sole splendente i cui raggi
raggiunsero, uno per uno, Rurik e Nemrak e Nin i quali divennero subito consci
della positiva presenza del Bianco Signore al loro fianco: il timore sparì dai
loro cuori sostituito dalla certezza che il loro braccio sarebbe stato guidato
da un’entità divina.
Come se l’incantesimo del
biondo paladino fosse stato il segnale di scatenare l’inferno, il portone di nero
legno massiccio si spalancò sulla spinta di un freddo alito di morte che spirò
anche sui volti dei quattro avventurieri, rigurgitando nel salone un’orda di
mostri non morti che, urlanti, si lanciarono sui nemici dinnanzi a loro.
Nemrak, istintivamente,
indietreggiò, pronta ad investire l’orda con la sua magia: le leggere vesti
argentee presero a fluttuarle attorno mentre l’energia divina, calda e
confortante, si incanalava nel suo corpo per coagularsi in una miriade di
scintille nei palmi delle sue mani spalancate dinnanzi al viso. Terminando
l’invocazione, la chierica fece esplodere l’incantesimo in un cono di dorata
energia che investì alcune creature disposte disordinatamente sul lato sinistro
dello schieramento, cremandole al momento.
Dall’altra parte dello
stanzone, Rurik non deluse le aspettative, lanciandosi a capofitto tra la selva
di nemici con l’ascia rotante al di sopra della sua testa: dopo aver macellato
con un solo colpo un paio di zombi macilenti, sparì nella mischia.
Sulla difensiva, invece,
Bran si prese alcuni istanti per incantare ulteriormente la lama del suo
spadone, conferendogli la capacità di arrecare danni mortali con un solo
affondo.
Da dietro le sue spalle, a
qualche passo di distanza, Nin scelse dalla sua faretra una delle due frecce
che teneva per le occasione, a sua detta, speciali: a differenza delle comuni
frecce, questa recava in punta un sacchettino colmo di una speciale mistura
inventata dal mezzelfo stesso. Il suo effetto fu spettacolare oltre che
devastante: colpito uno zombi in pieno petto, la mistura prese fuoco per
esplodere poi con un rombo ed una violenza terrificanti, creando il vuoto nel
raggio di qualche metro. Sangue ed interiora macilenti schizzarono in ogni
direzione, iniziando a rendere viscido il campo di battaglia.
Approfittando dello
scompiglio, anche il biondo Bran decise di gettarsi nella mischia l’istante
successivo all’esplosione, seguito dappresso dal ladro. Lo spadone del giovane
paladino fece un massacro tra i nemici che, ora infuriati, concentrarono su di
lui i loro attacchi. Lottando schiena contro schiena, però, Bran e Nin
riuscirono per qualche tempo a tenere a bada quelle orride creature, finché non
scesero sul campo di battaglia i Generali di quelle folli truppe: scheletri in
armatura completa ed armati di spada lunga e scudo.
Le file di zombi si
aprirono per far largo alla meglio disciplinata compagine scheletrica la quale,
con una manovra silenziosa ed ordinata, si dispose in formazione d’attacco: il
cigolio prodotto dalle antiche spade, estratte dagli altrettanto antichi
foderi, fu come un segnale, per gli zombi, di farsi da parte. Dal canto loro,
le putride creature non morte cessarono di combattere e fecero qualche passo indietro.
Il Comandante dei Generali
scheletrici, dopo aver lanciato un innaturale grido di battaglia, alzando la
sua spada verso la nera guglia di quella fenditura, ordinò ai suoi di avanzare.
Nel frattempo, ferma sulla
soglia del portone di legno massiccio, quella che era stata la Signora
Malstorm, e che ora mostrava le sue vere sembianze di mostro mezzo donna e
mezzo cane, osservava.
I quattro avventurieri,
rifiatando, si riunirono per cercare di meglio resistere al probabile
accerchiamento degli scheletri: Rurik, asciugandosi il sudore con il dorso di
una mano, si preparò alla cruenta battaglia tendendo tutti i possenti muscoli
del suo tozzo corpo mentre, rinfoderata la spada, Bran chiuse gli occhi per
trovare la concentrazione necessaria a lanciare un incantesimo.
Forte del suo randello
benedetto, arma possente contro degli scheletri, Nemrak raccolse tutto il suo
coraggio cercando di ricordare le nozione marziali impartitegli alla Torre del
Conclave durante l’addestramento; dal canto suo, il mezzelfo dal bruno pizzetto
e dagli occhi leggermente obliqui, cercò nella faretra la freccia… Ancora prima
che gli scheletri potessero muovere un solo passo, portatosi alla testa del
gruppo con un salto acrobatico, il ladro incoccò e, atterrato in ginocchio,
scoccò al centro della formazione nemica: la morbida punta della freccia
esplosiva impattò lo scudo di un generale scheletrico, scoppiando con un boato
che riempì spaventosamente tutta la caverna, riducendo in polvere buona parte
dei nemici.
Ora urlanti ed infuriati,
gli scheletri scattarono in avanti: anche se molti di loro giacevano per terra
a pezzi, il loro numero era soverchiante. L’orda ossuta piombò sui quattro
avventurieri, accerchiandoli, spingendoli sempre più verso lo scuro portone di
legno massiccio che dava l’ingresso alla stanza nella quale si trovava il
servitore di Hanubi in Ororia: la bestia mezzo donna e mezzo sciacallo.
Resosi conto
dell’inefficacia delle sue frecce contro gli scheletri, Nin balzò alle loro
spalle per continuare a scagliare sugli zombi che, uno dopo l’altro, caddero
sotto la pioggia di dardi.
Bran, che si trovava tra
Nemrak e Rurik, iniziò a salmodiare un’invocazione mentre gli altri due
cercavano di tenere a bada quei temibili combattenti, ben addestrati, senza
paura ed insensibili a qualsiasi dolore. Certo, veterano del campo di
battaglia, il nano se la stava cavando meglio della chierica che, seppur forte
della sua arma benedetta che con un solo colpo poteva ridurre in polvere uno
scheletro, stava ricevendo molti colpi: profonde ferite, infatti, iniziarono ad
aprirsi sul suo corpo mentre il sangue, che usciva copioso, imbrattava le sue
leggere vesti argentee che, inzuppate, le si incollarono addosso. Solo il
corpetto ed i bracciali di cuoio indurito le evitarono di riportare, per il
momento, ferite mortali.
A spalla a spalla con
Nemrak, Rurik roteava la sua robusta ascia in modo da parare i molti fendenti
nemici e, allo stesso tempo, trapassare armature e tranciare quante più ossa
possibili: ai suoi piedi, dopo alcuni minuti di scontro, se ne era creata una
catasta.
<<Bran! Muoviti se non vuoi che la chierica sia ridotta
un colabrodo!>> gli urlò il nano, storpiando le ultime sillabe nello
sforzo di calare la lama su uno scheletro che si era fatto troppo vicino.
<<Mi senti? Maledizione!>> gridò ancora senza ricevere alcuna
risposta, nemmeno un accenno, dal biondo paladino… Un sibilo, e la lama di una
spada nemica gli trapassò il gambale aprendogli un profondo taglio nella
coscia. Nonostante il dolore lancinante, il nano, incurante, rispose con un
terribile fendente dall’alto al basso che attraversò lo scheletro riducendolo a
pezzi. Ora zoppicante, Rurik cercò di fare appello alla sua grande disciplina
guerriera per sopperire alla limitata mobilità.
Addossato alla fredda
parete di pietra della caverna, a corto di frecce ed incalzato da mostruosi
zombi armati di catene e falcetti, Nin fece appello alla sua felina agilità per
cercare di sopravvivere alla cruenta mischia nella quale era andato a
cacciarsi. Lasciato cadere l’arco e sfoderato il suo kukri, oltre che un
sorriso a metà tra l’eccitato e l’incosciente, il ladro mezzelfo imperversò tra
le fila di non morti riuscendo a schivare, alle volte per miracolo, la maggior
parte degli attacchi portatigli.
Da dietro i grandi
battenti del portale, ormai sicura della vittoria, la donna sciacallo fece guizzare
la lingua tra le fauci pregustandosi l’esaltazione del momento in cui avrebbe
offerto in sacrificio alla sua Nera Signora il corpo e l’anima di un Paladino e
di una Chierica del loro odiato nemico: Orus.
La gamba di Rurik iniziò a
cedere poco per volta, impedendogli di muoversi come avrebbe dovuto per parare
i fendenti degli scheletri e contrattaccare repentinamente: costretto ad
incassare più colpi di quanti avrebbe voluto, il nano iniziò a fiaccarsi. Non
meglio di lui stava la chierica, anzi, la sua vista iniziò a giocargli brutti
scherzi, cosicché un numero crescente di colpi del suo randello andarono a
vuoto mentre, approfittando dei suoi errori, gli scheletri si fecero sempre più
aggressivi. Svuotata delle forze e colma di un senso di perdizione, Nemrak
vacillò, finendo per trovarsi a combattere in ginocchio… Costringendo Nin, che con
i suoi occhi di falco la scorse nel mezzo della battaglia, a lanciarsi in suo
aiuto: passato sotto ad un improvviso fendente che avrebbe voluto aprirgli la
gola, il mezzelfo spiccò uno spettacolare salto che lo portò a trovarsi a pochi
passi dalla chierica. Raggiuntala, cercò di contrastare l’attacco degli
scheletri che, urlanti, avanzavano inesorabilmente.
Così soverchiato, il
gruppo fu costretto a varcare la soglia del portone che immetteva al salone nel
quale, quella che era stata la Signora Malstorm, si godeva lo spettacolo da
sopra il suo scranno dietro al quale, circondato da fosche maglie di nera
energia demoniaca, stava una grande stele incisa di rune dorate.
f
<<E’
nelle ore più buie della nostra esistenza, quando dolore e disperazione riempiono
la nostra testa e impregnano il nostro cuore, che la nostra fede deve essere
più forte così da far bruciare la scintilla di Orus come un fuoco
inestinguibile>> era solito ricordagli Thoris, Maestro della Gilda,
quando le prove della vita gli sembravano insormontabili.
Con quella frase che gli
echeggiava in testa, Bran riaprì gli occhi cerulei, ora resi brillanti come
stelle dalla forza divina che Orus gli aveva concesso.
Aperte le braccia e stese
le mani, la sua magia iniziò ad avvolgerlo come le spire di un luminoso
serpente che, con sempre maggiore velocità, si stringessero attorno al suo
corpo per svanire solo quando, fasciatolo completamente, scoppiarono in una miriade
di frammenti dorati mentre sul pavimento della caverna andava disegnandosi il simbolo
del Bianco Signore: un sole raggiante che illuminava quelle lugubre segrete di
tenebra e malvagità.
Con la vista velata da
lacrime di rabbia, perché ogni colpo che i suoi tre compagni di ventura avevano
sofferto lo aveva potuto sentire anche lui, Bran vide le scintille di magia
spandersi nell’aria come fiocchi di neve in tempesta per poi posarsi, lievi ma
letali, sull’acciaio delle armature nemiche, sulle antiche ossa macilenti degli
scheletri e sulla pelle livida e gonfia degli zombi.
Furioso, purificatore e
portatore di speranza laddove solo la morte li attendeva, il fuoco esplose
tutto attorno ai quattro avventurieri divampando velocemente tra le fila
nemiche che, urlanti di dolore e terrore dinnanzi all’ira di Orus, si
sfaldarono: l’acciaio delle armature colò sugli scheletri impedendogli la fuga
e costringendoli, immobili ed inermi, a soffrire le pene che le loro anime
dannate meritavano, così come le meritavano quei non morti che, ora ridotti a
candele destinate a squagliarsi lentamente, andavano vagando disperatamente per
la caverna in cerca di un sollievo che sarebbe arrivato solo con la loro
distruzione, per ricominciare subito dopo nell’Abisso in cui i servitori di
quella stessa Padrona che avevano servito li avrebbero tormentati per l’eternità.
Ciò che rimase, alla fine,
fu cenere e carne bruciata.
Alla vista di quelle
fiamme che tutto lambivano, la creatura mezzo donna e mezzo cane si agitò sul
suo trono, sperando almeno che da quell’incendio non si salvassero nemmeno i
suoi nemici. Rimase però delusa quando, tra le ardenti lingue di fuoco, vide
disegnarsi la sagoma di un umano dai lunghi capelli fluttuanti che, avanzando
con in pugno uno spadone a due mani, puntava dritto verso di lei.
Cacciato un ringhio
terrificante, la donna sciacallo sfoderò gli artigli e si lanciò a fauci
spalancate su Bran Llyr… La sua zampata arrivò potente e precisa, e avrebbe
sicuramente sfigurato il volto del paladino se questi, sollevando una pioggia
di cenere e scintille infuocate, non l’avesse parata con lo spadone: la
creatura mezzo donna e mezzo sciacallo guaì al tocco dell’arma benedetta
ritraendosi di qualche passo ed iniziando a girare attorno a Bran, guardinga,
in attesa del momento giusto per attaccare di nuovo.
Il biondo paladino, però,
non abbassò per un solo istante la guardia ed anzi, con una veloce mossa, passò
all’attacco riuscendo solo a sfiorare il nemico che, accucciatosi sulle quattro
zampe, scattò di lato per lanciarsi in un sorprendente contrattacco: le sue
zanne si serrarono contro il costato di Bran, bucando il cuoio indurito
dell’armatura del giovane e piantandosi dolorosamente nella carne. Sentendosi
le costole scricchiolare sotto la potenza del morso della bestia demoniaca, il
paladino prese a picchiare il pomo della sua arma sulla testa del nemico finché
questi, ora sanguinante nera linfa, fu costretto a mollare.
Il duello si protrasse in
sostanziale equilibrio per più di mezz’ora: alle zampate della donna sciacallo,
Bran rispondeva con precisi fendenti; ai suoi morsi con brutali affondi la
maggior parte dei quali, vista la maggiore agilità del mostro, andavano a
vuoto.
Solo un momento di
cedimento del Bianco Paladino permise alla serva della Nera Gemella di prendere
il sopravvento: la gamba d’appoggio di Bran, infatti, tardò qualche istante a
scattare in avanti permettendo così alla donna sciacallo di anticiparlo nella
mossa; passata sotto la guardia del paladino, le sue fauci addentarono la
spalla del giovane mentre le mani artigliate si stringevano attorno ai suoi
polsi per costringerlo a lasciar cadere lo spadone. Bran resistette, cercando
di non badare al bruciante dolore causatogli dal morso e, stringendo i denti,
lottò fino all’ultimo finendo per trovarsi a rotolare per terra, disarmato.
Urlante per il dolore ed ansimante per la fatica, Bran strisciò fin sotto il
lungo altare posto al centro di quello stanzone… Avendo sentito le pesanti
zampe del mostro atterrare sopra la sua testa, sfoderò la spada lunga. Gli
artigli della donna sciacallo riuscirono a penetrare la pietra di cui era fatto
l’altare, facendo capolino a pochi centimetri di distanza dagli azzurri occhi
del paladino il quale, cercando di rifiatare, strisciò all’indietro sotto
l’altare che, seppur lungo, terminò in breve tempo.
Strappatosi di dosso il
medaglione di Orus a forma di sole splendente, Bran lo strinse tra le mani in
cerca di forza e conforto.
Il muso canino del nemico,
con le sue appuntite fauci annerite e sbavanti, si aprì in un terribile ringhio
a poca distanza dal viso sporco, sudato e sanguinante del paladino, per poi
scattare inesorabilmente verso il collo del giovane che, con le lacrime agli
occhi ed il cuore gravato dal peso di non aver saputo nemmeno vendicare la
morte di tre innocenti, raccomandò la sua anima al Bianco Signore… Il filo dei
suoi ultimi pensieri fu però bruscamente interrotto da una sensazione di calore
e formicolio alle mani.
Destatosi dal torpore,
proprio quando poteva sentire il calore dell’alito dell’orrida creatura sul suo
collo, Bran tese la mani verso quelle fauci spalancate infilandoci dentro il
medaglione ora splendente. Serrato il muso canino, il biondo paladino lo
strinse con tutte le sue forze in una morsa d’acciaio.
Il mostro prese a
dimenarsi in preda ad un’agonia mai provata: i suoi denti iniziarono a
liquefarsi, colando in gocce incandescenti sulla sensibile lingua canina che,
lentamente, iniziò a bruciare mentre il fuoco scendeva sempre più giù, dalla
gola al petto fino allo stomaco.
Deciso a non mollare per
nessuna ragione al mondo, Bran poté sentire l’acre odore di carne bruciata
mentre vedeva nero fumo uscire a sbuffi dalle fauci del suo nemico che, menando
zampate a destra ed a manca, cercava di scrollarselo di dosso.
Rischiando più di una
volta di essere mortalmente trafitto da acuminati artigli lunghi come coltelli,
Bran, con uno scatto di reni, bloccò le braccia della donna sciacallo
montandoci sopra con le ginocchia.
<<Devi soffrire almeno quanto hanno sofferto Ed, sua
moglie e l’innocente Sandra!>> gli gridò, versando ancora lacrime di
rabbia. <<Mandalo giù!>> esclamò riferendosi al medaglione!
<<Lasci che bruci il tuo immondo ventre, schifosa creatura!>>
E così fu: non potendone
fare a meno, la donna sciacallo fu costretta ad inghiottire l’amuleto di Orus
che iniziò a liquefarle i tessuti interni… Smettendo anche di menare zampate,
il mostro si rannicchiò, circondandosi l’addome con le braccia.
Solo a quel punto, Bran si
rialzò in piedi, guadagnando una distanza di sicurezza dalla creatura
agonizzante che, qualche istante dopo, fu sconquassata da un’esplosione che la
lasciò per terra boccheggiante, con le budella fumanti riversate sul pavimento
ma ben cosciente di ciò che le stava succedendo.
Raccolto lo spadone, il
biondo paladino le si avvicinò, piantandogli in volto uno sguardo tra il
glaciale ed il compassionevole: ciò che infatti Bran provava in quel preciso
istante era un misto tra odio profondo per quella malvagia creatura che, con
inaudita crudeltà, aveva portato al martirio un’intera famiglia e compassione
per una creatura che stava patendo una pena di un dolore indicibile.
<<La doppiezza della realtà>> pensò, mentre
sotto i suoi occhi la donna sciacallo era in preda a convulsi spasmi.
<<Condannati siamo noi uomini a dover sempre scegliere tra vie che non
sono mai totalmente giuste né totalmente sbagliate, errando in ogni caso. Chi
può dire dove stia la verità? Nella lama del mio rilucente spadone o sulla
punta dei suoi neri canini? Nella sofferenza di Ed, sua moglie e Sandra o nel
dolore di questa disgraziata creatura? Probabilmente in tutte queste cose, o in
nessuna…>> pensò, mentre alzava al di sopra della testa la sua arma.
<<Che sia giusto porre fine alla sua esistenza e con
essa al suo dolore, o piuttosto lasciarla agonizzare per espiare le sue colpe?
Solo poco tempo fa tendevo per la prima risposta… Ma come ignorare il martirio
di tre innocenti? Come nascondere che l’agonia di questo mostro possa
rappresentare la sua giusta punizione?>> si chiese, vacillando.
Dopo aver abbassato
l’arma, Bran girò le spalle a quell’orrido spettacolo di budella fuoriuscenti e
nero sangue colante, di urla disumane e contrazioni spasmodiche. Mosse alcuni
passi verso i suoi compagni che si trovavano a terra, privi di coscienza, o
forse morti, non avrebbe saputo dirlo con sicurezza.
<<Le loro sofferenze, la loro fatica e la loro angoscia…
È giusto che quel mostro soffra anche per loro?>> si chiese, girandosi
ancora una volta verso la creatura morente.
<<Chi sono io per poterlo decidere?>> si rispose
poi, con un’altra domanda. <<Altro non possiamo fare, noi mortali, che
affidarci alle parole di Dio>> disse poi a voce alta stringendo le mani
attorno all’impugnatura dello spadone. <<E credere di essere nel giusto,
per quanto possibile, se non altro per rendere il mondo un posto
migliore>> concluse, calando la lama sulla testa della donna sciacallo,
ponendo fine alla sua pena.
<<Anche uccidendo?>> si chiese subito dopo,
sbigottito. <<La doppiezza della realtà>> si rispose chiudendo il
cerchio.
f
Incapace di staccare lo
sguardo da quel macabro spettacolo, Bran osservò gli occhi della donna
sciacallo girare in tutte le direzioni, per alcuni terribili istanti, e
spalancarsi per aver visto la lama calare e spiccarle la testa dal resto del
corpo, prima di divenire opachi e finalmente senza vita.
Dopo aver recuperato il
medaglione, la cui luce splendente andava ora affievolendosi, Bran rinfoderò lo
spadone per avviarsi, zoppicante, verso i suoi compagni che, poco più in là,
giacevano immobili tra i resti scomposti degli zombi e degli scheletri.
Nemrak, con le argentee
vesti insanguinate ed appiccicate al corpo formoso, stava sdraiata sulla pancia
con la testa anch’essa insanguinata abbandonata di lato, immobile. Il giovane
paladino dovette vincere quell’opprimente senso d’angoscia che lo fece esitare
a tastarle il polso: se quella Pia Chierica fosse morta, sentì in cuor suo,
sarebbe voluto morire anche lui… Fortunatamente, Orus volle che il cuore di
quell’affascinante fanciulla non avesse smesso di battere. Inginocchiatosi a
fatica, per girare il corpo della chierica, il biondo paladino raccolse le sue
ultime forze magiche nel palmo delle mani che, poste sul petto di lei, le
insuflarono linfa vitale.
Svegliandosi come da un
incubo, con la testa pesante ed ogni singolo muscolo dolente, la prima cosa che
Nemrak vide fu il bel volto del giovane paladino incorniciato da una cascata di
biondi capelli leggermente mossi: il suo cuore ebbe un tuffo.
<<Riesci a reggerti in piedi?>> le chiese Bran
Llyr, con voce sussurrata.
<<Non ne sono certa>> rispose lei, puntando le
mani sul pavimento e cercando di alzarsi.
<<Tieni
questa>> le disse lui, estraendo dalla sacca appesa alla sua cintura una
fialetta verde. <<Bevi.>>
Senza farselo ripetere due volte, la
chierica dai lunghi capelli corvini trangugiò d’un fiato la pozione che ebbe
l’effetto di restituirgli un pò di vigore.
<<Lascia
che sia io ad occuparmi degli altri due>> le ordinò Bran, costringendola
a rimanere seduta dov’era.
Lanciato l’incantesimo di guarigione
anche su Rurik e Nin, esaurendo così qualsiasi forza magica, Bran si guardò in
torno in cerca di una via d’uscita che non li costringesse a fare a ritroso
tutto il percorso fino alla superficie di Ororia.
Girando lo sguardo verso il fondo
dello stanzone, il biondo paladino scorse, dietro all’altare di pietra ora
semidistrutto, una bassa e grossa colonna avviluppata di una fumosa nebbiolina
grigia.
<<Guardate
là>> disse ai suoi compagni, indicando con il dito.
<<Una
colonna di pietra?>> chiese Rurik non capendo come questa avrebbe potuto
essergli di qualche interesse o aiuto.
<<Una
stele>> gli rispose la chierica.
Quando, avvicinatisi, poterono scorgere
le dorate rune ivi incise, lessero le seguenti parole:
dinnanzi
alla Dea Sciacallo il Sole Splendente eclisserà.
Allorquando
la Nera Gemella ed il Bianco Signore si abbracceranno
dell’Apocalisse
gli infernali Cavalieri, su tutto, imperverseranno.”
Ripetendosi la profezia un paio di
volte, apprendendola a memoria, Bran passò una mano su quella liscia superficie
di marmo dipanando la maglia di nera energia che l’avviluppava.
Senza nemmeno lasciargli il tempo di
riflettere sull’oscuro significato della profezia, la colonna prese a tremare,
sgretolandosi come un castello di sabbia: dall’alto iniziarono a piovere
schegge di marmo di dimensioni sempre più grandi, costringendo i quattro
avventurieri ad indietreggiare di qualche passo.
Quando, alcuni minuti dopo, della
colonna rimase solo un mozzo, nell’aria si disegnarono i contorni di una scintillante
porta dorata che, ben presto, si riempì di fluido magico.
<<Un
altro portale>> brontolò il nano, memore della precedente esperienza
tutt’altro che piacevole.
<<Preferisci
fare a ritroso tutta la strada fino in superficie?>> gli chiese Nin,
sarcastico.
<<Forse
preferisco usare questo portale>> gli rispose Rurik, quasi rabbrividendo
al ricordo ancora vivido delle terribili Sfingi. <<Prima tu>>
aggiunse rivolgendosi al mezzelfo il quale, di corsa, si lanciò dentro quella
luce liquida e densa; toccò poi a Bran e Nemrak ed infine al nano, suo
malgrado.
Il viaggio attraverso quel portale non
fu migliore dell’altro, ma nemmeno più lungo, infatti, in un battibaleno i
quattro si ritrovarono nella lugubre cucina di quella casa maledetta.
<<Aspettate
un istante>> fece Bran Llyr agli altri tre, quanto mai ansiosi di
lasciare quel luogo. <<Fatemi il favore di trovare qualcos’altro da
bruciare che non siano questi teli>> gli ordinò strappando le tende dalle
finestre. <<Tu vieni con me>> disse poi a Rurik.
Così dicendo, il giovane paladino si
diresse verso la stanza del rituale sacrificale, dove il puzzo di marcio e di
decomposizione era forte più che mai: i viscidi resti del verme gigante,
infatti, giacevano sparsi su tutto il pavimento, rendendolo assai scivoloso.
Avvolti i corpi martoriati di Ed, di
sua moglie e della piccola Sandra, Bran li portò di là con l’aiuto del nano.
<<Ora
possiamo andare>> sussurrò, cinereo in volto. <<Appiccate il fuoco
non appena saremo usciti da qui>> ordinò infine.
f
Ad attenderli fuori della casa,
allertati dalla colonna di fumo che dalla stessa si innalzava, stava Thoris,
Maestro della Gilda, a capo di un gruppetto di cinque paladini.
Vedendo in che condizioni a dir poco
disperate si trovassero gli avventurieri, i paladini tutti accorsero ad
aiutarli nel trasportare le salme insanguinate.
<<Mio
caro Bran!>> esclamò Thoris, andandogli incontro a braccia aperte.
<<Mi
scuserà, Maestro, se non le racconto ora ogni cosa>> gli rispose il
biondo paladino dopo averlo abbracciato a sua volta. <<Ma non sono
dell’umore giusto né nella forma migliore>> si giustificò.
<<Nemmeno
una parola>> acconsentì l’uomo dai lunghi capelli castani, così come gli
occhi. <<Pensa solo a mettere un piede davanti all’altro fino al
Tempio>> lo rassicurò aiutandolo a reggersi in piedi. <<Quando
saremo arrivati, prenditi tutto il riposo di cui hai bisogno. Al resto
penseremo in un secondo momento, tutti assieme>> gli confermò.
<<Sappi solo che sono felice di rivederti tutto d’un pezzo… E che sono
molto fiero di te!>> si congratulò con gli occhi pieni di lacrime di
gioia.
The End? Tutto sembra finito, ma invece è solo l'inizio! Ci sono forze in movimento, forze oscure che hanno messo in moto ciò che è successo ad Ororia... Come un sasso al sommo ella montagna, questi eventi ora narrati daranno vita ad una valanga di altri eventi che, se ne avete il piacere, sarà mio piacere narrarvi. Il romanzo non finisce con questo capitolo, tenetevi forte perché molto deve ancora essere raccontato.
Come di consueto, godetevi tre brani e grazie al loro ascolto lasciatevi trasportare nel mondo di Gaia, nel mondo di Bran Llyr:
Dragonforce: "Through the fire and flames"
Sonata Arctica: Victoria's secret
Avantasia: "The story ain't over"
Zaffo
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