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FRAMMENTI DI VITA
QUOTIDIANA
Sulla città di Ororia, baluardo della
fede in Orus del Sacro Regno in quei tempi governato dal monarca Julius di
Kaesar, il sole splendeva ormai da diversi giorni, pur essendo pieno inverno.
Le strade del centro, lastricate e pulite,
erano percorse da un gran numero di persone: Ororia, a quel tempo, contava più
di centomila abitanti, tra cui contadini, artigiani di ogni arte, commercianti,
guardie e uomini di fede. Ognuno di loro era grato ai Chierici ed ai Paladini
che ivi dimoravano. Questi ultimi, in particolare, si prodigavano attivamente
per mantenere l’ordine e la pace in città, aiutando le persone oneste che ne
avessero avuto bisogno e punendo i malfattori.
Il Bianco Scranno di Damien,
GranMaestro della Gilda dei Paladini di Ororia, si trovava all’interno del
Tempio, al centro di una grande sala; una sala spoglia, arredata solo di una
grande tavola rotonda al cui centro si trovava il trono stesso. Le pareti,
spoglie anch’esse di qualsiasi ornamento che non fossero le staffe serventi a
reggere le numerose torce sempre accese, a simboleggiare l’eternità della
scintilla di Orus, erano dipinte di epici affreschi rappresentanti la venuta
della divinità sul mondo.
I Chierici, invece, avevano la propria
sede presso la Torre del Conclave, all’interno della quale si trovavano la Sala
Consiliare, dove si riunivano Chierici e Paladini in caso di necessità e dove i
primi esercitavano il loro ufficio di Giudici, e le Sale del Sanatorio ove a
chiunque fosse malato o ferito erano prestate le necessarie cure.
Il Tempio e la Torre del Conclave,
rispettivamente ad est e ad ovest, costituivano le porte d’accesso alla città
di Ororia poiché, da queste costruzioni, partivano le mura che delimitavano il
centro cittadino.
Al di fuori, man mano che ci si
allontanava dal centro, le strade lastricate lasciavano il posto a larghi
sentieri di terra battuta, curati e regolari, mentre fattorie e piccole
abitazioni in legno si sostituivano alle più ampie costruzioni in pietra. La
fertile campagna attorno si sviluppava su una serie di dolci colline; sette
colli intitolati ognuno come le Sette Virtù: Fede, Verità, Valore, Temperanza,
Forza, Determinazione e Coraggio.
f
Bran Llyr era entrato a far parte
della Gilda dei Paladini fin da giovane, distinguendosi per la profonda fede,
l’umiltà e la forza d’animo. Thoris, suo Maestro, era solito elogiarlo dinnanzi
agli altri per la sua umile forza d’animo, la più importante tra le qualità di
un paladino di Orus, a suo dire.
Quel giorno d’inverno, il biondo
paladino dagli occhi azzurri come il cielo d’estate si trovava in un piccolo
villaggio accoccolato ai piedi di uno dei sette colli. Arrivato all’uscio della
casa verso cui era diretto, Bran bussò con tocco delicato. Qualche istante dopo
la porta si aprì cigolando.
<<Sia
benedetto Orus per la vostra visita, Bianco Paladino>> lo accolse una
voce femminile, calda e riconoscente. <<Entrate in casa e siate il
benvenuto, Bran Llyr>> continuò la donna dalle piene guance rubiconde,
lisciandosi l’ampia gonna a pieghe.
<<Si
tratta ancora di vostro marito, donna Mari?>> chiese Bran togliendosi il
pesante mantello di lana e porgendolo gentilmente alla padrona di casa.
<<No,
Pell sta bene, la sua gamba è completamente guarita ed è potuto tornare al
lavoro, grazie al cielo.>>
<<Bene,
ne sono felice. Di cosa si tratta allora?>> le chiese il giovane
accomodandosi sulla sedia di legno che gli era stata indicata.
<<Si
tratta di nostro figlio Tim>> rispose lei togliendo dal fuoco un
pentolino fumante. <<Sono due giorni che la febbre alta non gli dà
tregua>> gli spiegò mentre versava la tisana in due tazze di terracotta.
<<Non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto per prendere il cibo>>
continuò servendo la bevanda dal piacevole odore balsamico, ed accomodandosi
ella stessa.
<<Ha
tosse o altri sintomi?>> le chiese Bran passandosi una mano tra i lunghi
capelli scompigliati dal gelido vento invernale.
<<Conati
di vomito, sì… E anche giramenti di testa quando tenta di alzarsi in
piedi.>>
<<Capisco>>
le rispose pensieroso il giovane paladino, sorseggiando la tisana. <<Mi
porti da lui, donna Mari.>>
<<Subito,
Bianco Bran>> acconsentì lei invitandolo a seguirla verso la stanza da
letto di Tim, che si trovava al piano superiore.
<<Tim,
Tim>> lo chiamò dolcemente la donna, affrettandosi ad aprire le tende della
finestra per far entrare la luce di quel bel sole invernale. <<Il Bianco
Bran è qui per curarti>> gli disse poi scoprendolo.
Nel frattempo, il paladino si era
accostato al letto del ragazzo: osservandolo, ne notò il mortale pallore della
faccia e le nere occhiaie che la segnavano. Procedendo a spogliarlo, notò
anche, sul suo petto, tre piccoli graffi rossi e leggermente gonfi.
<<E
questi?>> chiese alla donna, sospettoso.
<<Mi
ha detto di esserseli procurati giocando con gli altri ragazzini del paese,
infilandosi di corsa in una siepe. Gli ho subito messo un impacco di centinodia
per farli rimarginare… Ho per caso fatto qualcosa di sbagliato?>>
<<No,
donna Mari, tutt’altro>> le rispose Bran per tranquillizzarla, mentre
nella sua mente andava prendendo forma una spiegazione ben più preoccupante.
<<Ci
lasci soli qualche minuto, per favore.>>
<<Certo>>
disse la donna uscendo. <<Certo>> ripeté chiudendosi la porta alle
spalle.
<<Tim,
è una bugia quella che hai raccontato a tua madre, non è vero?>> gli chiese
mettendosi a sedere sul letto.
<<No>>
disse in un sussurro il ragazzino, scuotendo la testa.
<<A
me lo puoi dire, di me ti puoi fidare>> lo invitò Bran con dolcezza.
<<Si,
le ho detto una bugia>> confessò Tim dopo qualche esitazione, mentre una
lacrima gli rigò la guancia.
<<Cosa
ti è successo? Confidami il tuo piccolo segreto, può andarne della tua
guarigione.>>
<<L’altro
giorno>> iniziò il ragazzino dai capelli rossi, a fatica << io e i
miei amici abbiamo visto in cielo uno strano uccello con delle grandi ali da
pipistrello e con quattro zampe simili in tutto e per tutto a piccole braccia e
gambe. Curiosi, ci siamo messi a lanciargli dei sassi con la fionda. Bill è
riuscito a centrarlo e lo strano uccello, in tutta risposta, ci è venuto incontro
strillando. Gli altri se la sono data a gambe, ma io sono rimasto lì immobile,
come paralizzato dalla paura>> disse mettendosi a piangere.
Bran lo accarezzò sulla testa,
scompigliandoli i capelli riccioluti.
<<Sono
caduto a terra, e l’uccellaccio, non contento di avermi spaventato, mi ha
graffiato>> concluse asciugandosi le lacrime.
A quel punto, Bran capì che non si era
trattato di uno strano uccello, bensì di un Imp, un demonietto alato usato da
molti maghi, soprattutto malvagi, come famiglio ed il cui artiglio avvelena chi
ne è colpito.
<<Ora
rilassati, Tim, lascia che l’energia di Orus ti pervada senza opporre alcuna
resistenza. Proverai del dolore, non te lo posso negare, sentirai come se una
parte di te venisse risucchiata, ma è il veleno che se ne andrà. Resisti, e poi
starai meglio, te lo prometto.>>
Così dicendo, Bran Llyr impose le mani
all’altezza dei graffi sul petto del ragazzino. Concentrandosi, invocò il
potere di Orus, ed in risposta le sue mani brillarono magicamente di una dorata
luce calda e rassicurante.
Tim chiuse gli occhi, sentendosi già
venire meno.
L’incantesimo raggiunse il suo apice
quando Bran spinse con forza sul petto del ragazzino che, gemendo, si irrigidì.
Le mani del paladino smisero di brillare, la pressione sul petto di Tim cessò e
tutto tornò come prima.
<<Bravo
Tim, sei stato coraggioso. Ti meriti una bella fetta di mela caramellata>>
gli disse tirandola fuori da un sacchetto appeso alla cintura, per poi
appoggiargliela sul comodino vicino al letto. <<Ora riposa, ne hai molto
bisogno>> concluse coprendolo.
Dietro la porta della stanza da letto
di Tim, Mari stava aspettando con le mani congiunte in una preghiera ad Orus.
<<Allora?>>
chiese con apprensione al giovane paladino.
<<Tutto
sistemato. Ora Tim sta bene, è solo stanco. Con molto riposo, e del buon cibo,
si ristabilirà nel giro di una settimana>> gli rispose Bran con un
leggero inchino.
<<Sia
lodato Orus, e tu sia benedetto Bran Llyr!>> esclamò la donna
visibilmente sollevata.
Una volta che furono scesi, il paladino
le spiegò l’accaduto, sostituendo l’Imp con un uccellaccio, così da non
instillare il panico nella donna.
Presa dalla borsa una boccettina di
acqua benedetta, gliela porse.
<<Gliene
faccia bere un sorso ogni due giorni finché non sarà finita tutta; lo aiuterà a
rimettersi>> le disse infine.
<<Le
sono infinitamente grata, Bianco Bran, non so come ringraziarla.>>
<<Ho
solo fatto il mio dovere nel nome di Orus. Continui ad onorare il Bianco
Signore con la preghiera e con una condotta di vita onesta, questo sarà
sufficiente.>>
<<Non
ne dubiti>> gli rispose la donna porgendogli il pesante mantello di lana.
<<Che
lo splendore di Orus scenda su di voi e sulla vostra famiglia, donna
Mari>> augurò il paladino, dirigendosi verso l’uscita della casa.
<<E
su di voi>> recitò la donna, infine, affrettandosi ad aprirgli la porta.
Nel corso della giornata, il biondo
paladino si recò presso una decina di altre case per altrettante visite,
riuscendo a guarire i malanni di tutti coloro che avevano chiesto la sua assistenza.
Essendo ormai l’imbrunire, Bran decise di avviarsi verso l’unica locanda del
paese, dove avrebbe cenato e passato la notte. L’indomani mattina presto, con
il cuore leggero e l’animo in pace per il buon lavoro svolto, avrebbe cavalcato
verso Ororia per far ritorno al Tempio.
f
L’aria si era fatta ancora più fredda,
preannunciando una nottata gelida, ma a Bran il freddo piaceva, gli piaceva il
tocco morbido del pesante mantello foderato e amava il potersi fare un bel
bagno bollente mentre i brividi gli percorrevano il corpo non appena messa una
gamba fuori dalla vasca. L’inverno, al contrario dell’estate, lo coccolava.
Sulle foglie delle piante e sui rami
degli alberi andava formandosi la brina, mentre il suo respiro, calmo e
regolare, si condensava in pesanti nuvolette.
Tutto d’un tratto, la quiete di
quell’ora che precede l’apparire della luna e delle stelle, fu spezzata da un
chiacchiericcio che diventò presto un brusio per sfociare in un vociare a
tratti interrotto da qualche grido. Dirigendosi verso le voci sempre più
concitate, Bran fu guidato fuori del sentiero principale che conduceva alla
locanda sul lato sud del villaggio. Nel giro di pochi minuti si trovò immerso
nel bosco per sbucare, poi, in una larga radura dove sorgeva la piccola fattoria
del vecchio Tob.
<<Che
succede?>> chiese ad una donna che gli stava venendo incontro di corsa,
con la faccia rossa come un pomodoro ed il fiato corto.
<<Bianco
Bran venga! Che Orus sia lodato se si trova qui proprio adesso!>>
<<Dimmi
che sta succedendo>> ripeté il paladino raggiungendola di buon
passo.
<<Un
regolamento di conti>> gli spiegò cercando di riprendersi. <<Venga
con me!>> gli disse infine guidandolo fino alla piccola fattoria.
Arrivato sul posto, il giovane
paladino poté vedere tre uomini, con le armi in pugno, discutere animatamente.
<<Andatevene
dalla mia proprietà!>> gridava disperato il vecchio Tob, un Umano sulla
settantina, ancora abbastanza vigoroso, dai capelli bianchi così come la lunga
barba cespugliosa, impugnando un’accetta.
<<La
tua proprietà?>> rispose l’altro, un Mezzelfo dal volto ricoperto di
cicatrici, esibendo un sorriso beffardo.
<<Questa
fattoria è il frutto del sudore della mia fronte e del lavoro delle mie mani,
maledetto cane!>>
A quelle parole, il Mezzorco che
spalleggiava il Mezzelfo avanzò di un passo verso il vecchio Tob, sferrandogli
un ceffone che quasi lo buttò a terra.
Bran si lanciò in aiuto del fattore.
<<Come
osate alzare le mani su di un vecchio!>> gridò con voce ferma ed
imperiosa.
<<E
tu chi saresti per dirmi cosa fare e cosa non fare?>> gli chiese il
Mezzelfo, mentre un capannello di persone andava formandosi attorno alla scena.
<<Non
ti serve sapere il mio nome, straniero, ti basti sapere che la legge di Orus
incombe su di voi!>>
<<Non
crederai di intimorirci nominando qualche divinità! Non sai con chi hai a che
fare… E ti basti sapere che il mio amico>> fece indicando con la testa il
grosso Mezzorco dai canini sporgenti <<non vede l’ora di fare un pò di
esercizio. Fagli vedere cosa capita a chi mette i bastoni fra le ruote a
Frederik!>>
Il Mezzorco, brandendo una pesante
mazza ferrata, si lanciò su Bran il quale ebbe appena il tempo di schivare il
colpo che gli avrebbe fracassato la testa.
<<In
nome di Orus, ti ordino di fermarti!>> fu il suo avvertimento.
Grugnendo, il barbaro si lanciò
nuovamente all’attacco.
Questa volta, Bran sfoderò il suo
rilucente spadone a due mani, intercettò il terribile colpo ma non riuscì ad
arrestarne la corsa: la mazza si schiantò contro la sua armatura che,
assorbendo gran parte della forza impressa dal bestione alla mazza, gli salvò
la vita.
Ciononostante Bran accusò il colpo e,
senza fiato, fu costretto in ginocchio. Un rivoletto di sangue gli scese
dall’angolo della bocca. Rialzatosi a fatica, cercando di guadagnare tempo per
il lancio di un incantesimo, il giovane paladino indietreggiò, riguadagnando
una distanza di sicurezza che gli permise di deviare, con il lungo spadone, i
colpi dell’avversario mentre, con uno sforzo di volontà, si costrinse a concentrarsi
quel tanto che gli bastava per chiedere l’aiuto di Orus. Quando sentì fluire in
lui l’energia divina, il paladino gettò a terra lo spadone cosicché una bianca
sfera di luce potesse prendere consistenza nel palmo della sua mano sinistra.
Il Mezzorco, vedendo il suo avversario
disarmato, si lanciò su di lui con una furia cieca.
Nello stesso istante, Bran gli scagliò
contro la sfera magica, sfoderando subito dopo la spada che portava appesa al
fianco.
L’incantesimo colpì il barbaro in
pieno petto: le forze gli vennero meno per un istante e contemporaneamente le
braccia gli si intorpidirono perdendo sensibilità. Il colpo di mazza non andò a
segno, bensì mancò Bran facendo perdere l’equilibrio al bestione.
Senza perdere un solo istante,
approfittando degli effetti debilitanti dell’incantesimo, il paladino dai
profondi occhi azzurri balzò verso il suo avversario, colpendogli la nuca con
il pomo della spada. L’energumeno si accasciò a terra privo di sensi.
Il cinico sorrisetto di Frederik gli
morì sulle labbra. Sbalordito dall’accaduto, ed in preda alla paura, l’agile
Mezzelfo cercò di darsela a gambe sgattaiolando tra la piccola folla che si era
radunata dinnanzi alla fattoria di Tob. La gente del villaggio, però, non se lo
fece scappare da sotto il naso e, mostrando una prontezza insospettabile per
tranquilla gente di campagna, braccarono letteralmente il farabutto.
Asciugandosi con il dorso della mano
il sangue che gli macchiava le labbra, Bran rinfoderò la spada e raccolse lo
spadone, adagiato a terra poco più in là.
Due robusti abitanti del villaggio
tenevano saldamente il Mezzelfo per le braccia, impedendogli la fuga.
Zoppicando leggermente, il vecchio Tob
si avvicinò con cautela a Frederik, accusandolo a gran voce della sua rovina.
<<L’incendio
dell’estate scorsa alla mia stalla è opera tua, maledetto!>> inveì il
fattore.
<<Sei
un pazzo sclerotico…>> gli rispose l’altro con calcolata non curanza.
<<Se
quello che dice Tob è vero, ti sei macchiato di una grave colpa>> gli
disse Bran avvicinandosi.
<<Assassino
bastardo! In quel rogo è morta mia moglie…>> continuò il fattore
stringendo il pugno sul manico dell’accetta. <<La mia amata Talia…
Farabutto, manigoldo schifoso!>> inveì ancora mentre le lacrime velavano
i suoi stanchi occhi.
<<Non
cercare di buttare la colpa su di me, vecchio disonesto>> gli rispose
Frederik. <<Mi deve ancora i soldi che gli ho prestato per ricostruire il
suo buco di fattoria>> continuò rivolgendosi a Bran.
<<E’
vero, Tob?>>
<<Si
Bianco Bran, è vero. Purtroppo le mie mani tremolanti non riescono più a
lavorare come una volta, e le cose non mi vanno nel migliore dei modi>>
confessò il vecchio, amareggiato. <<Però il colpevole dell’incendio è
lui! Non è stato un incidente, ne sono sicuro!>>
<<Come
fai ad esserne così certo?>> gli chiese Bran.
<<Stavo
uscendo di casa per andare a chiamare Talia quando dalla finestra ho visto quel
Mezzorco appiccare il fuoco alla stalla con una torcia e poi darsela a gambe
verso il bosco!>> disse disperato, con la testa fra le mani.
<<Non
hai alcuna prova della mia colpevolezza, vecchio ubriacone!>> si fecce
beffe lo spietato Mezzelfo.
<<Questo
lo dici tu, Frederik>> gli rispose Bran Llyr, compiaciuto.
<<Tenetelo ben fermo>> disse rivolgendosi ai due uomini che
stringevano le braccia del Mezzelfo. <<Se non hai niente da nascondere, e
se davvero sei innocente come dici di essere, non avrai niente in contrario se
ti sottopongo ad un incantesimo di sincerità>> continuò il biondo Bran tornando
a rivolgersi al malvivente il quale, con la forza della disperazione tentò di
liberarsi smettendo di dimenarsi solo quando il filo dell’accetta di Tob si
appoggiò sul suo esile collo.
Bran salmodiò la sua preghiera ad
Orus, raccogliendo le sue ultime forze divine. Imponendo le mani sulla fronte
del Mezzelfo, Bran gli chiese di rispondere alla sua domanda.
<<E’
stato il tuo amico Mezzorco ad incendiare la fattoria di Tob, al fine di farti
chiedere un prestito di denari per poi rifarti sugli interessi?>>
Il Mezzelfo, come in trance, confessò
la propria colpevolezza e, ripresosi poco dopo dall’effetto dell’incantesimo,
maledisse Tob, quel villaggio e soprattutto il paladino ricevendo, per tutta
risposta, un colpo in testa che gli fece perdere i sensi.
<<Tob,
dovrei chiederti di darmi delle corde ed un secchio d’acqua>> fece Bran
posandogli la mano sulla spalla, sorridendogli soddisfatto.
<<Con
piacere!>> esclamò il vecchio, ora con cuore più leggero e voce ferma,
affrettandosi ad entrare in casa per uscirne, qualche minuto dopo, con il
tutto.
<<Aiutatemi
a legarli per bene>> chiese il paladino ad alcuni abitanti del villaggio
mentre era intento ad immergere le corde nell’acqua cosicché, asciugandosi poi,
i nodi si stringessero ulteriormente attorno ai polsi ed alle caviglie dei due
malviventi, rendendogli praticamente impossibile liberarsi.
Così, i sogni di un pasto caldo e di
un letto morbido andarono in fumo, con rammarico del giovane paladino il quale,
dopo aver portato il Mezzelfo ed il Mezzorco al villaggio, si vide costretto a
partire immediatamente per Ororia. Alla luce di quella pallida luna e delle
stelle dorate, in sella al suo cavallo, conducendone per le redini altri due
sopra i quali aveva caricato e legato i due delinquenti, percorse il largo
sentiero di campagna che lo avrebbe condotto presso la Torre del Conclave e poi
al Tempio dove, finalmente, avrebbe potuto riposare nel suo comodo letto.
f
Quella stessa notte, Damien,
GranMaestro della Gilda dei Paladini, e Thoris, Maestro della Gilda e secondo
in grado ed esperienza e potenza solo allo stesso Damien, sognarono lo stesso
incubo.
Persi in un’oscurità talmente fitta da
divenire palpabile, vagavano in un Tempio impregnato di un puzzo di morte e
putrefazione in cerca della scintilla di Orus e della loro fede smarrita, pur
sapendo in fondo ai loro cuori di essere
saldi nella loro devozione. Dai meandri dell’Abisso, una voce femminile,
calda ma ingannatrice ed allo stesso tempo suadente ma piena di malizia, iniziò
ad instillare nella loro mente una serie di verità distorte ed equivoche. La
voce divenne sempre più alta e stridula, costringendoli a tapparsi le orecchie
con le mani per non impazzire. D’un tratto, e solo per un istante, il
medaglione a foggia di sole raggiante che portavano al collo brillò di una
bianca luce esplosiva mentre, dall’alto dei cieli, una voce maschile, forte e
sincera, contrastò quella femminile divenuta ora un grido diabolico.
Svegliatosi di soprassalto, Thoris, un
Umano dai lunghi capelli color nocciola così come gli occhi, si infilò i
vestiti in tutta fretta e, chiudendosi la porta alle spalle senza fare rumore,
uscì dalla sua stanza diretto verso la Sala del Bianco Scranno.
Lì, seduto sul suo scranno, trovò
Damien, serio in volto e pensieroso.
<<Che
quel giorno non arrivi mai>> gli sussurrò Thoris dopo essersi
inginocchiato al suo fianco. <<Non posso credere che un giorno smarriremo
la retta via. Così deboli sono i nostri cuori, Damien?>>
<<No,
no mio caro Thoris>> gli rispose il paladino dai corti capelli castani e
dai duri lineamenti spigolosi. <<Non noi. La divinazione va interpretata,
le parole ed i messaggi degli Dei sono densi di significato al di là delle loro
apparenze. Sarà il mondo a perdere la fede e con essa la speranza>> gli
spiegò con voce roca.
<<Non
finché alla guida della Gilda ci sarà un GranMaestro della tua
saggezza!>> esclamò Thoris serrando i pugni.
<<Sento
un gran peso nel cuore, fidato Thoris, come se il destino del mondo stesse per
indirizzarsi su un oscuro binario… Sento un pericolo crescente, un’oppressione
che non mi dà pace e che turba le forze del mondo. I piatti della bilancia
stanno per inclinarsi ma non sono sicuro da quale parte. Bene o male, luce o
tenebra?>>
<<E’
una sensazione che condivido, Damien, nemmeno io sono tranquillo in questi
giorni. Temo per la tua persona, temo per la Gilda e per il Sacro Regno>>
gli rispose il paladino dagli occhi nocciola fissando con sguardo preoccupato
il medaglione di Orus appeso al collo dell’altro.
<<Si,
Thoris, i tuoi saggi occhi guardano nella direzione giusta. Lo sento
irrequieto, quasi pulsante>> affermò Damien stringendo il pendaglio a
forma di sole raggiante. <<Non dobbiamo però disperare, questo mai! La
divinazione ci lascia una speranza, una piccola speranza forse, ma sempre
presente. Se il mondo cadrà nell’oblio ci sarà sempre qualcuno, per quanto a
noi sconosciuto o per quanto improbabile, che cercherà tra le tenebre la luce,
la scintilla di Orus, e la riporterà a galla. Il mio cuore non ne dubita, amico
mio.>>
<<Non
posso che augurarmi che sia così>> gli rispose Thoris, con un sorriso
amaro. <<Tornando a noi, Damien, il Nemico potrebbe essere in procinto di
colpire e non escludo che l’attacco possa essere portato alla tua persona. Se
ciò può risultare utile alla nostra causa, sono disposto a condividere il fardello
che grava su di te. Sarebbe un onore.>>
<<Mio
caro Thoris, non posso chiederti questo, non sarebbe giusto porre sulle tue
spalle un simile peso che non sono sicuro riusciresti a reggere.>>
<<Non
me lo stai chiedendo, sono io che mi sto offrendo.>>
<<Ciononostante
non ne avrei il cuore, amico>> gli rispose un Damien sinceramente
amareggiato.
<<Non
sottovalutare la mia fede ed il mio cuore, mio Maestro.>>
<<Non
era certo nelle mie intenzioni, credimi!>> gli assicurò il GranMaestro
dei paladini, posandogli affettuosamente una mano sulla spalla.
<<Allora
lascia che lo indossi, così che non rischi di cadere nelle mani
sbagliate!>> fu l’accorata risposta di Thoris. <<Sai bene quanto me
che è necessario>> concluse.
<<E’
con il cuore ancora più pesante che ti passo questo fardello, mio adorato
Thoris. Sai che sei stato più di un allievo e perfino più di un amico, per me
sei come un fratello…>>
<<Lo
stesso vale per me, caro Damien, ed è proprio per questo che ti chiedo di
scambiarci i medaglioni. I fratelli devono sempre aiutarsi nel momento del
bisogno, nei momenti bui della vita.>>
<<Sì,
hai ragione, solo non rischiare che cada nelle mani sbagliate, nemmeno per
salvare la mia vita. Preferisco morire sapendo il medaglione al sicuro, tra le
tue sagge e forti mani, piuttosto che contravvenire ai miei doveri nei
confronti del Bianco Signore, Nostro Dio che è Orus>> gli disse,
sfilandosi con mano tremante il pendaglio a foggia di sole raggiante.
L’altro paladino, dal canto suo, fece
lo stesso con il suo medaglione, completando lo scambio.
Non appena Thoris ebbe indossato il
pendaglio portogli da Damien, si sentì quasi soffocare da un grave peso sul
petto. La testa prese a girargli, mentre le mani, le braccia e le gambe gli si
intorpidirono. Facendo del suo meglio per nascondere il proprio malessere a
Damien, si tirò in piedi.
<<Non farti sopraffare, imponigli
la tua volontà e respingi la sua influenza malvagia>> gli consigliò il
GranMaestro, agli occhi del quale ben poche cose potevano essere nascoste.
<<Prega Orus affinché ti conceda la forza di resistere al richiamo del
Nemico; ti aiuterà a sostenere il fardello>> gli disse prendendolo
sottobraccio, aiutandolo ad uscire dalla Sala del Bianco Scranno.
Per tutta la notte, fino al sorgere
del sole, Damien e Thoris pregarono insieme Orus, chiedendogli la grazia di
poter portare a compimento il destino che il Dio gli aveva affidato.
E per gustare al massimo l'esperienza di lettura, tre tracce di cui vi consiglio l'ascolto prima, durante e dopo: Modena city ramblers - Irlanda, in un giorno di pioggia; Allen Lande - The battle; Dio - Heaven and hell.
E per gustare al massimo l'esperienza di lettura, tre tracce di cui vi consiglio l'ascolto prima, durante e dopo: Modena city ramblers - Irlanda, in un giorno di pioggia; Allen Lande - The battle; Dio - Heaven and hell.
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